Non è facile scrivere sui terremoti. Paradossalmente perchè se ne è scritto e se ne scrive tanto. Appunto se ne scrive ma, almeno dalle nostre parti, poco si fà per annullarne o mitigarne gli effetti.
Non parlo ovviamente delle Leggi; quelle non mancano, anzi a volte esagerano nei bizantinismi burocratici, nell’aggiungere carte alle carte come se la produzione di carte, relazioni, documenti potesse davvero rendere sicure le nostre città, le nostre case.
Parlo degli atti concreti, pubblici e privati, che corrispondono alla ricerca della sicurezza.
E’ assodato che la gran parte dei fabbricati in cui viviamo è insicura; sono più insicuri gli edifici in cemento armato costruiti tra il dopoguerra e i primi degli anni ottanta che non le principali costruzioni storiche, almeno quelle sottoposte a regolari opere di manutenzione.
Altrettanto assodato è che esistono le tecnologie e i materiali per migliorare la sicurezza delle fabbriche e le intelligenze in grado si usarle. Sappiamo anche dove è più urgente e prioritariamente intervenire.
E’ ovvio che una scelta strategica di messa in sicurezza dei tessuti urbani richiede una quantità enorme di risorse economiche, come è altrettanto ovvio che non può essere lo Stato, l’Erario, a sobbarcarsene per intero l’onere. Altrettanto è ovvio che i costi di messa in sicurezza sono enormemente più bassi di quelli legati alla ricostruzione post-sismica.
Quindi cosa manca per garantire la riduzione del danno in caso ( statisticamente certo) di sisma?
Manca il coraggio della scelta, dell’azione amministrativa, delle scelte sinergiche tra economia, tecnica e politica.
Sì, perchè senza stimolare l’iniziativa privata verso una poderosa opera di rinnovamento dei tessuti urbani nessuna vera sicurezza potrà essere raggiunta, stimolo che può essere generato da adeguate politiche economico-fiscali prima di tutto ma anche urbanistiche.
Mi riferisco alle procedure di sostituzione edilizia e di riqualificazione statica, opere costose, verso cui sarebbe bene indirizzare l’azione governativa per esempio con l’abbattimento degli oneri fiscali accompagnati da una seria politica di incentivi volumetrici a favore della demolizione e ricostruzione, quando non della delocalizzazione. Senza dire che, tenuto conto della delicata situazione energetica ed ambientale delle nostre città, e di riflesso dell’intero Paese, questo auspicato New Deal urbanistico-architettonico, potrebbe contribuire al bilancio statale stimolando una crescita economica paragonabile a quella del dopoguerra, insieme alla riduzione dei consumi energetici.
Sono cose dette e ridette in ogni convegno, in tutte le salse, da tutti gli organismi professionali ad ogni occasione possibile. Eppure le risposte istituzionali appaiono quantomeno timide, mentre gli organismi di controllo e attuazione persistono in una logica del vincolo e della tutela, a volte oltre le stesse Leggi.
E’ stato il caso del Piano Casa, è il caso dei progetti di sostituzione (sempre meno) che giacciono negli Uffici Tecnici per mille pastoie ed incertezze, è il caso delle Leggi di riforma urbanistica sempre annunciate e mai emanate, è il caso di progetti fatti da chi non ha le necessarie competenze.
Però ci interroghiamo sul nucleare si o no e non pensiamo che in ogni città o paese è come ci fosse una bomba atomica pronta ad esplodere. Al prossimo terremoto.