Nemici dell’ordinamento professionale

Per la serie “ordini professionali = il male assoluto” periodicamente assistiamo a una serie di pareri di insigni economisti e sociologi che teorizzano come, tra le misure urgenti per la ripresa economica del Paese, sia prioritario procedere all’abolizione degli Ordini Professionali.

Qualche settimana fà tale sociologa Saraceno, resa personaggio da Ballarò, con aria schifata dalla porta di Brandeburgo e, solo qualche giorno fà, Mario Monti dalla pagine del Corriere, sostenevano, con la solita puzzetta sotto il naso, come la permanenza dell’istituto ordinistico costituisca un notevole freno alla ripresa economica.

Per chì ne vive ogni giorno la realtà risulta difficile comprendere da quali dati questi autorevoli personaggi traggano queste convinzioni, a quali fatti si riferiscano: certo non quello della limitazione all’accesso dei giovani sul mercato visto che,  esclusi i Notai di cui si guardano bene di parlare, non risulta che l’accesso agli Ordini sia limitato -i numeri delle iscrizioni lo testimoniano- nè tali autorevoli opinionisti precisano quali risorse economiche e di sistema si libererebbero eliminando il sistema ordinistico.

Non lo fanno semplicemente perchè non possono.

Và chiarito infatti che gli Ordini non sono stati previsti dalla nostra legislazione a tutela dei professionisti: al contrario sono posti a tutela della fede pubblica essendo la  loro principale funzione quella di verificare il possesso dei titoli  ed il corretto (deontologicamente parlando) esercizio della professione. E’ bene si sappia che il sistema ordinistico si regge, dal punto di vista economico, esclusivamente sulla contribuzione personale degli iscritti e nessuna risorsa lo Stato ad essi destina, semmai risorse preleva.

Invece gli Ordini, spesso costituiscono una voce critica verso provvedimenti che l’Amministrazione pubblica, nelle sue varie articolazioni statali, regionali, comunali, prende in contrasto con gli interessi concreti e reali dei cittadini. Come abbiamo già scritto altre volte,  assumono spesso il ruolo di consulenti a titolo gratuito delle Amministrazioni svolgendo un servizio di pubblica utilità, e allora perchè tanto livore?

E’ semplice amici: il mondo libero-professionale produce circa il 12% del PIL del Paese, che è un bel pò di danaro, e questo fà gola: ad un certo mondo imprenditoriale che vorrebbe gestirlo in proprio, alla politica che, distruggendo il potere di contraddittorio e di critica di un gran numero di professionisti, potrebbe più facilmente mettersi d’accordo con pochi soggetti -i più forti- scambiandosi favori e prebende.

Dirò di più, se i professionisti ragionassero egoisticamente e non secondo principi etici come nel loro DNA, sarebbero i primi fautori dell’abolizione. Si libererebbero così dei vincoli morali della professione e potrebbero ispirare i loro comportamenti solo alla convenienza economica e reddituale. Certo bisogna anche capire come farebbe lo Stato a riversare, come fà ogni giorno, su di essi una serie di incombenze che non riesce ad espletare, per giunta senza adeguato compenso: pensiamo ai Commercialisti, agli Architetti, agli Ingegneri, che sono chiamati ad asseverazioni e controlli esercitando, a titolo gratuito, il ruolo di Pubblici Ufficiali.

Il che non vuol dire che gli Ordini vanno bene così; vanno sicuramente riformati, viste le  sfide che la nuova realtà mondiale impone, così come le professioni da decenni chiedono. Inutilmente!

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