E’quasi una consuetudine: nei primi giorni di Febbraio, a Catania, avviene qualche crollo, balconi vecchi di trecento anni, sprofondamenti di tratti di strada. Anche quest’anno la tragedia è stata evitata, forse con l’occhio benevolo della nostra Sant’Aituzza che, dobbiamo sperare non si distragga mai.
E però la speranza non è sufficiente, anzi è incosciente visto che le cause di questi potenziali disastri sono note e da tempo da più voci denunciate.
Abbiamo un centro storico, tra i più nuovi e paradossalmente meglio conservati d’Italia che però, come tutte le cose umane, non è eterno ed immutabile; sopratutto se non lo si manutende e lo si lascia ad un lento ed inesorabile invecchiamento.
Ora, se è vero com’è vero (potremmo dire in dipietrese) che buona parte del patrimonio edilizio storico è in mano ai privati, nè è pensabile che lo Stato si faccia carico di metterci dentro tutti i soldi per la sua messa in sicurezza, bisogna capire come avviare, e seriamente, una concreta opera di risanamento. Che non riguarda solo la città di Catania, ma la totalità dei centri storici dell’Isola e della Penisola.
Il problema presenta varie sfaccettature e diversi livelli d’intervento. Il primo è di carattere urbanistico: bisogna che si proceda a una mappatura (in qualche caso già fatta) dei nuclei storici per individuarne le aree a più immediato rischio fisico e quelle a maggior deficit ambientale ed infrastrutturale per poter pianificare e programmare un sistema organico di interventi. E’ un livello squisitamente tecnico-politico, la cui risposta deriva dall’avvio di quei famosi piani particolareggiati o come li vogliamo chiamare, che solo la gestione politica può programmare e attuare.
Il secondo è di carattere economico: come cioè reperire le risorse per darne concreta attuazione. La leva fiscale potrebbe rappresentare un’adeguata risposta al quesito, e cioè, visto che la messa in sicurezza dei tessuti storici è indubbio rappresenti una finalità di interesse pubblico, bisognerebbe rendere conveniente mettervi mano. Per esempio con la drastica riduzione dell’Iva e delle imposte a vantaggio dei privati realizzatori, sia essi proprietari che imprese e professionisti. Penso che le organizzazioni rappresentative di categoria non impiegherebbero molto tempo a trovare un accordo per l’avvio di protocolli d’intesa volti a calmierare i costi e garantire qualità e certezza degli investimenti. Credo anche che, invece che avere un decremento degli introiti, lo Stato e le Amministrazioni potrebbero registrare alla fine un incremento delle risorse, visto che stimolare gli investimenti nel campo edilizio ha come noto corollario una positiva stimolazione dell’economia in generale.
Il terzo è di carattere procedimentale: nessuno degli obiettivi di una seria attività di riqualificazione è perseguibile con le attuali regole, confuse, contraddittorie, incerte se non pericolose, almeno dal punto di vista delle responsabilità civili e penali. E’ per questo che, da tanto, troppo tempo, le professioni, le imprese, chiedono di pervenire ad una nuova forma di governo del territorio e dei suoi strumenti, facendosi anche carico di indicarne le direzioni strategiche. Purtroppo al momento senza molti apprezzabili risultati. Forse quello che in realtà manca è l’interlocuzione con una politica seria, che pare sempre più impegnata nelle sue alchimie e non nella reale soluzione dei problemi ... tanto ci pensa Sant’Agata.