E’ estremamente sgradevole dire “io l’avevo detto” come pure è inelegante citare se stessi, soprattutto se a queste citazioni corrisponde un fallimento annunciato.
Devo purtroppo farlo, con una certa amarezza, e con me lo dovrebbero fare gli Ordini professionali che già per tempo, avendo studiato nel dettaglio le questioni del Piano Casa avevano, avevamo individuate le potenzialità e le criticità di questo strumento. Basterebbe, a questo punto, ripubblicare l’articolo che scrissi su queste pagine nel Marzo dello scorso anno e rileggere la corposa documentazione che gli Ordini, assolvendo in pieno al loro ruolo di coscienza tecnica e critica dello Stato e delle Amministrazioni, avevano elaborato suggerendo in anticipo le opportune modalità operative e le integrazioni da apportare al testo base per rendere lo strumento funzionante. Appunto l’avevamo detto. E anche dettagliatamente scritto.
Invece, una politica autoreferenziale con il naso all’insù, dimostratasi tronfia e incompetente, ha ritenuto non ascoltare temi, ragionamenti, avvertimenti di comune senso logico, oltre che di evidenza tecnica, che ha portato a quello che, ora con dati di fatto, possiamo definire purtroppo un fallimento in piena regola. Certo, complice anche una crisi che è economica ma anche e sopratutto di fiducia e di sistema.
Leggiamo sul quotidiano di sabato scorso che le istanze relative al Piano Casa si contano, oggi a quasi sei mesi dalla sua entrata in vigore nella città di Catania, nel numero stratosferico di dodici.
E non và meglio da altre parti tranne che in quelle città, in quelle regioni, poche in verità, che invece hanno raccolto la sfida anche facendo autocritica negli atti concreti.
Dodici istanze a fronte di una crisi che stà falcidiando i posti di lavoro nel mondo dell’edilizia, che stà comportando la chiusura di molte Imprese e studi, che ha pesanti riflessi sull’enorme indotto che gravita attorno a questo mercato.
E dire che le condizioni per la creazione di un volano economico di un qualche rilievo c’erano tutte, e avrebbero consentito, se le indicazioni degli Ordini fossero state accolte, anche un certo processo di rinnovamento delle, della città, stimolando interventi e innovazione.
Si è privilegiata invece la demagogia un tanto al chilo, la tutela ossessiva anche di ciò che invece andava migliorato, meglio sostituito. E nessuno pensava di manomettere i tessuti storici o le emergenze architettoniche: al contrario si voleva consentire un processo di riqualificazione dei tessuti più deboli, periferie, agglomerati abusivi, centri degradati, incentivando i processi di sostituzione edilizia e riqualificazione urbana con positivi riflessi sulla sicurezza fisica e sostenibilità.
Con lo stesso spirito e con le stesse metodologie usate quando, sempre gli Ordini professionali e l’Ance, avevano stimolato l’Amministrazione a procedere al rinnovo del regolamento Edilizio della Città e delle sue Norme d’attuazione vecchie di molti decenni e superate da numerose norme ed interpretazioni.
E invece, registriamo ancora un’occasione persa con il Piano Casa, non si sa più nulla del lavoro svolto per aiutare l’Amministrazione a rinnovare il suo apparato normativo edilizio mentre il Piano regolatore naviga (?) nella nebbia assoluta.
Però ci lamentiamo, si lamentano della riduzione futuribile dei trasferimenti dovuta al federalismo e nel frattempo si sprecano le risorse che abbiamo, economiche e di intelligenze.