Vi sono molte ragioni per scrivere di problemi, difficoltà e incomprensioni quando si tratta di temi d’architettura; oggi voglio cogliere una nota d’ottimismo legata alla vitalità che, negli ultimi anni, il mondo della professione in Sicilia – a Catania in particolare- stà dimostrando.
Solamente tra sabato e stasera vi sono state e saranno tre manifestazioni di rilievo, che spaziano tra i temi e gli esempi della grande architettura contemporanea raccontati da chi materialmente la produce e l’analisi delle più significative architetture siciliane e dei loro autori. Siamo passati dall’esposizione dei temi della sicurezza di grandi opere (il grattacielo S.Paolo-Intesa a Torino ( R.Piano B W ) la stazione FS di Firenze di Norman Foster, il palasport di Torino (Arata Isozaki) alle architetture “naturali” di Luciano Pia, elegante figura che ha fatto una scelta singolare e di controtendenza: da architetto con raggio d’azione europea (solo ricordiamo il suo auditorio di Nimes) a architetto a km zero, nel senso che dopo aver a lungo operato in lungo e in largo ha poi deciso di lavorare solo per cantieri raggiungibili in bicicletta dal suo studio e solo per due opere alla volta. Concetto della sostenibilità della professione che non gli impedisce di pensare edifici di grande respiro, come il plesso universitario di Biologia o il concorso per la nuova sede della Lavazza, una sorta di isolato verde, nel concetto e nelle superfici, dove le ragioni della composizione spaziale e urbana sono intrinseche a quelle della sostenibilità ambientale e energetica, nel principio dell’alta qualità del progetto abbinata alla bassa incidenza di sofisticati sistemi elettronici e tecnologici.
Si è passati poi ad una mostra su sette studi siciliani che dimostrano come anche nella nostra terra, pur se tra mille difficoltà burocratiche e economiche, si possa produrre architettura di qualità, e poco importano le analisi strettamente critiche sugli stilemi e le metodologie progettuali che essi adottano: è stata l’occasione anche per una revisione critica su quello che la stampa e i media ufficiali raccontano dell’architettura italiana; se è vero che solo in Spagna operano circa duecento studi italiani, prevalentemente fuori dai circuiti mediatici ufficiali, sarà statisticamente vero che nell’intera Europa sono molti, molti di più. Esiste quindi un’altra architettura italiana, anche se non è raccontata dai media. Certo, bisogna chiedersi quale potrebbe essere la situazione se, invece che osteggiata e vilipesa, l’architettura in Italia venisse tutelata e sostenuta.
Stasera al Palazzo della Cultura si proseguirà con la redazione di Ottagono, altra rivista storica, che approfondirà l’analisi sulla situazione siciliana.
Esiste quindi un’attenzione mediatica verso la nostra produzione architettonica che, a vari livelli e con diverse poetiche, cerca un riscatto dalla banalità e dall’oleografia che per tanti anni l’hanno caratterizzata, anche a causa della perdita di memoria collettiva verso il tema dell’innovazione naturalmente connessa al progetto e alla trasformazione del territorio. Attenzione cui non sono estranei gli stessi professionisti grazie all’azione degli organismi e associazioni che li rappresentano, Ordini in testa, che alla banalità, all’appiattimento del pensiero, alla scarsa sensibilità delle Istituzioni hanno dichiarato guerra.