Standard & Poor’s pur dando un buon rating all’Italia non è convinta della nostra della capacità di sviluppo nel lungo periodo. Che le valutazioni di queste agenzie internazionali di rating a volte siano non troppo attendibili è cosa nota e quindi poco male. Quello che però è evidente è che l’Italia, rispetto ad altre economie europee dirette concorrenti, cresce meno, da tanto tempo e quindi purtroppo strutturalmente.
Non vuol dire che tutta l’economia italiana non cresca; esistono realtà e settori che malgrado le difficoltà crescono, ce lo ricordano i media economici, anche in settori di vecchia economia come il tessile e l’acciaio. E lo fanno in condizioni a dir poco svantaggiate, operando in un Paese, il nostro, che con le sue inefficienze, la troppa burocrazia, i costi dell’energia più alti d’Europa, mette sulle loro spalle, sulle nostre, un fardello non indifferente, una sorta di handicap.
Questi pesi, nel settore delle infrastrutture, sono particolarmente gravosi aggiungendovisi gli sprechi, le ripetizioni di controlli, la macchinosità delle procedure.
Le opere pubbliche, malgrado (forse anche grazie) i tagli draconiani ad alcune voci di spesa-vedi i servizi professionali-costano troppo: per eccesso di concertazione, per speculazione politica, per le irrazionalità di alcune previsioni. Ciò a fronte di risorse di bilancio ridotte al lumicino e alle quali poco riusciamo ad aggiungere, specie nel meridione, delle pur importanti contribuzioni europee.
Appare quindi necessario, se vogliamo far ripartire a pieno regime la macchina italiana, mettere con urgenza mano a queste criticità.
Forse lo farà il Ministero dell’Economia: speriamo che l’obiettivo non si limiti ad altri tagli orizzontali, ad altre forzature contro questa o quella categoria produttiva.
D’altronde, se in questo quadro alcuni settori crescono a medie europee, se altri riescono a conservare livelli qualitativi e di innovazione significativi, dobbiamo chiederci cosa sarebbe la macchina italiana liberata dai suoi pesi impropri.
Ciò vale anche per la qualità architettonica e delle trasformazioni del territorio, per quel che si riesce a fare.
Il nostro quadro normativo, inutilmente ipervincolistico e troppo basato sul parametro quantitativo, non ha uguali in Europa e nel mondo. La moltiplicazione delle figure che in qualche modo possono governare e interagire con le trasformazioni del territorio altrettanto.
E con tutto questo gli architetti, i progettisti italiani sono ancora capaci di esprimere una qualità media sufficiente, che diventa anche molto alta nelle realizzazioni all’estero, troppo poche queste perchè la capacità professionale ancora non è considerata bene da esportare.
C’è da chiedersi, cosa sarebbe l’Italia, la sua economia, se potesse scrollarsi di dosso decenni di pressapochismo, di zavorra normativa, di malamministrazione.
Per conto loro le professioni hanno provato, provano a dare un contributo nei modi che sanno, con proposte operative e ricerca. Vedi il caso della piattaforma Im@teria, che sperimenterà la presentazione telematica delle pratiche edilizie con risparmi evidenti i termini di tempo, consumo di carta, costi.
Sarà la pubblica amministrazione pronta a raccogliere l’invito, o continuerà a emanare provvedimenti casuali, non collegati ad un progetto preciso di manutenzione-ristrutturazione dell’apparato statale, non sfruttando quell’enorme patrimonio di conoscenza che l’Italia, ancora, possiede?