Ne abbiamo parlato, tante volte, tuttavia la questione dell'impoverimento generale delle professioni, quelle tecniche in particolare, è balzata all'attenzione dei grandi media (testate, talk show) solitamente poco inclini a occuparsi dell'argomento; segno che la situazione è giunta a un punto gravissimo, quasi di non ritorno. Si dirà che la contingenza negativa, che attraversa il comparto dell'edilizia, sta esplicando i suoi effetti cosa che è vera ma che non basta a spiegare l'attuale stato di cose. Che hanno origine da molto più lontano, almeno dal 2006 con la lenzuolata di Bersani e, ancor prima, dalla famosa Legge Merloni. A queste misure, negli anni altre ne sono state aggiunte fino ad arrivare all'ultima riforma deliberata nel Gennaio del 2012 dal Governo tecnico di Monti.
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Tutte misure, si badi bene, giustificate una volta perchè ce le chiedeva l'Europa, un'altra per moralizzare il settore degli appalti pubblici, un'altra ancora per favorire l'accesso al mercato dei servizi da parte dei cosiddetti giovani. Ebbene, se i numeri sono numeri e i dati sono dati, il risultato lo si può definire più che fallimentare, disastroso. Basti considerare, per le professioni tecniche, che dal 2007 a oggi il reddito medio dei professionisti si è ridotto mediamente del 26 % cosa che da noi al sud vuol dire oltre il 40. E a farne le spese sono stati proprio tanto i giovani quanto e più, stando ai dati, gli over 50. E dire che il mercato dei servizi tecnici italiani, in valore assoluto, è ancora il secondo d'Europa dopo quello tedesco ma, se analizziamo il dato ripartito sui singoli attori, scendiamo al nono posto. Complimenti. Ma ciò non basta: per varie motivazioni, alcune plausibili, sulla classe professionale a tutti gli effetti classe media del Paese, sono stati aggiunti tutta una serie di oneri e balzelli che hanno fatto esplodere i costi di gestione, dalle assicurazioni alla formazione continua, all'incremento del 40 % degli oneri previdenziali, alla difficoltà di accesso al credito e, beffa tra le beffe, una direttiva dell'Agenzia delle Entrate secondo la quale, a fronte dell'abolizione totale delle tariffe professionali, si dice agli ispettori che queste devono considerare nella determinazione presuntiva del reddito dei soggetti sottoposti ad accertamento.
A fronte di questo disastro, che si traduce in una complessiva perdita di competitività del sistema oltre che di due generazioni di professionisti, non si è sentito un "mea culpa", una presa di coscienza da parte di questi liberalizzatori, forse perchè troppo impegnanti nei loro riti di potere. Eppure le evidenze, come detto, ci sono: gli appalti dei servizi continuano a essere territorio di caccia per pochi fortunati, la burocrazia continua a imperversare e a ciò si aggiunge il blocco quasi totale delle attività e degli incassi. Si, è vero, bisogna guardare all'estero, esportare le nostre intelligenze, naturalmente però dobbiamo fare da soli visto che i politici sono già impegnati nella valorizzazione dei pomodori (cosa buona) e quando si chiede il perchè non pensino di occuparsi anche dei knowledge workers rispondono che gli studi sono troppo piccoli e quindi l'unica possibilità è di rivolgersi alle grandi imprese già operanti all'estero. Già, siamo troppo piccoli, ma come fa una pianta a crescere se gli togli l'acqua e anche la terra su cui è piantata?