Grande risalto la stampa stà riservando in questi giorni all’istituzione dei cosiddetti “centri commerciali naturali”: piani operativi aventi l’obbiettivo di mettere a sistema la rete commerciale puntuale di una determinata area, attraverso un’azione consorziata tale da far sviluppare un “brand” comune, simile a quello praticato dai grandi “shopping center” che da qualche hanno stanno costellando le periferie delle città italiane.
Bene! Direi quasi e non solo io, era ora: perché, senza voler accreditare a questa rubrica doti profetiche, già nel 2004, ben sei anni fa, ci siamo occupati della questione, inquadrandola nel più ampio sistema dei servizi, della infrastrutturazione, della memoria del sistema città, che è anche memoria dei luoghi del commercio. Scrivevo tra l’altro in quell’articolo, “…le aree, le strade commerciali cittadine devono trovare la forza e la voglia di diventare, di fare “sistema”, capaci di offrire anch’esse riconoscibilità ed appartenenza…”
Quindi finalmente, il sistema politico-amministrativo s’è accorto del problema e comincia, sia pure in ritardo, ad occuparsene. La domanda, provocatoria, è quando se ne accorgeranno i diretti interessati, i commercianti e le loro organizzazioni, e quando cominceranno a prendere posizione?.
Già, perché i dati dicono che a fronte di migliaia di esercizi interessati all’interno del perimetro urbano, solo poche centinaia hanno aderito. Forse gli altri aspettano Godot, oppure la certezza di avere qualche finanziamento, forse è soltanto pigrizia o il rifiuto di un’azione in “condominio”. Eppure il calo dei fatturati e delle vendite non lascia molti dubbi: Sabato sera mi sono ritrovato a passeggiare un’oretta per la più importante strada della città, una volta sede dei più prestigiosi negozi. Era la strada, citata da Brancati e non solo, per fare conquiste, per farsi vedere , il salotto e qualcosa di più dove si andava eleganti, cercando eleganza. Ho trovato una strada mediamente affollata, in prevalenza di ragazzi e ragazzini, dei veri e propri branchi, urlanti, sboccati, che fanno numero ma non mercato, anzi, Ho trovato le boutique di un tempo trasformate in negozi di merce a poco prezzo con marchi altisonanti, uguali a Roma come a Madrid, privi di qualsiasi identità territoriale. Ho visto una ronda, si dice così, di poliziotti e soldati, fare avanti ed indietro lungo tutto il tragitto per cui una volta ad un capo di esso, dall’altra parte può succedere ed è già successo di tutto, senza che nulla possano fare. Di conseguenza, a meno dei due o tre Grandi Magazzini e poche altre botteghe di tendenza, ho visto negozi per lo più vuoti e commesse ozianti.
Ecco, questo è un aspetto sul quale i soci “ naturali” di questi “ centri commerciali naturali” potrebbero/dovrebbero intervenire. Garantire la tranquillità di chi sceglie di vivere la città anche per lo shopping, godendo delle sue bellezza architettoniche. Dovrebbero garantirsi anche un’identità urbana ed un effetto città, di vicinato, che si è perso negli anni e, paradossalmente, è il terreno sul quale vengono battuti dai grandi centri commerciali periurbani, più che sul prezzo. Tutto questo si può fare, a maggior ragione con il sistema oggi implementato. Comunque non tutto è negativo: ho anche visto l’avvio del riuso pubblico delle corti storiche che, abbiamo già sostenuto e ce ne rioccuperemo, sono una risorsa incredibile per la riqualificazione complessiva della città .