La convulsa vita dei nostri tempi è caratterizzata dall’esagerazione, dalla rutilanza, dalla magniloquenza esibita. A volte lo è nel modo di vestire, nel modo che molti giovani hanno di relazionarsi tra loro e non solo, negli sballi quotidiani e quelli del sabato sera fatti di alcol, di musica assordante, di corse sfrenate verso il nulla, nella violenza dei comportamenti.
Non è estranea a quest’esagerazione la comunicazione massmediologica, fatta di iperboli, di sensazionalismo, di notizie letteralmente urlate dai microfoni dei qualche TG, di ansie indotte per vendere la notizia ed il suo supporto.
Non è estranea a quest’esagerazione la corsa contro il tempo, che viene divorato come se ne fossimo i padroni ed invece ne veniamo posseduti, per fare sempre più cose, in una “sindrome di Schumacher” in cui alla fine non si vince nulla se non l’ansia da prestazione.
Anche il mondo dell’architettura, specchio della propria epoca, vive questo tempo dell’esagerazione; non è la prima volta che questo accade in senso assoluto, forse lo è rispetto all’inutilità o alla mancanza di valore etico, di queste esagerazioni.
Forme contrarie alla minima logica dell’equilibrio sono state utilizzate per costruire case dove gli uomini avrebbero dovuto abitare, grattacieli sempre più alti vengono costruiti in tutto il mondo, per vincere la sfida, una volta l’ho definita un po’ infantile, a chi c’è l’ha più alto; c’è chi vuole costruire , e probabilmente lo farà, edifici, naturalmente altissimi, che possono ruotare su se stessi per aver il lusso di cambiare il panorama a piacimento, e che alla fine, una volta fatto il giro, sarà sempre quello. Una sorta di urlo architettonico collettivo, che è anche fatto di discorsi, proclami, vaticinazioni di verità assolute e rivelate.
In tutto questo, gigantesco clamore, ci stiamo dimenticando che al centro dell’architettura, direi meglio al centro del mondo, alla fine c’è l’uomo, l’umanità ed i suoi bisogni, e noi architetti, almeno molti di quelli che, come si dice fanno tendenza , con i loro scimmiottatori, ci stiamo dimenticando , credo e spero solo per il momento, che l’Architettura è l’arte (l’unica) che tiene il tutto, e non perché lo diceva Aristotele che qualcosa dell’uomo forse aveva capito, ma perché semplicemente è vero. In questo suo tener tutto, la base può sol essere un ragionato equilibrio, che non vuol dire indifferenza, tra le diverse anime del mondo, quella dell’apparenza e quella della sostanza, quella della forma e quella della funzione, il luogo e le persone. E per capire tutto questo occorre prima d’ogni altra avere una capacità: quella dell’ascolto, del silenzio, della meditazione. Ascoltare significa comprendere le ragioni intime del fare e del suo fine, significa interagire ed interpretare i segni che vengono dal luogo, dallo spazio, dal tempo; ascoltare significa essere umili rispetto ai segnali del mondo esterno e rispettosi, per quanto più possibile, di quello che è nostro solo temporaneamente, e cioè l’ambiente che provvisoriamente occupiamo e utilizziamo.
Non ci aiuta in questo l’economia, non ci aiuta in questo la politica, anzi sembra andare in direzione opposta; ci deve sorreggere, in quanto uomini del fare, la consapevolezza, che nel nostro piccolo essere organizzatori dello spazio ed anche un po’ del tempo, possiamo inoculare germi sani in un mondo fatto di brutto, di fretta, di non rispetto.
Forse sono stato un po’ troppo concettuale, …sarà il caldo.