Le eco-città: è la sfida del futuro

Il dibattito sull’evoluzione delle città verte sulla loro sostenibilità, considerando che esse sono il motore dello sviluppo, il luogo delle idee e dell’economia, quello dove avvengono le rivoluzioni culturali che ci condurranno a nuovi modelli e stili di vita. A partire dal fatto che è arrivato il tempo di risparmiare, per le generazioni future, nuovo suolo. Non possiamo più pensare a una loro continua espansione, una sorta di villettopoli e palazzopoli infinita, basata sul modello “americano” e allora la sfida del prossimo futuro è quella sulle eco-città, che equivale a quella dell’ecodensità del tessuto urbano. Significa che le città dovranno ritrovare al loro interno quei luoghi di socializzazione e di pausa di cui il sistema degli spazi pubblici costituisce il nucleo portante. Ciò passa attraverso una serie di azioni che riguardano un diverso concetto di mobilità, un diverso concetto della dotazione di spazi verdi. Ciò ci porta alla necessità di condurre interventi mirati attraverso azioni di razionalizzazione e ragionata densificazione dei tessuti e degli edifici esistenti gran parte dei quali, in Italia, sono inadeguati sia da punto di vista della sicurezza che dell’efficienza energetica.

La ricerca di un prestigioso cenacolo economico, lo studio Ambrosetti, ci dice che per migliorare le nostre città occorrerebbero investimenti di circa 20 miliardi di Euro/anno fino al 2030. Certamente una cifra importante ma un buon investimento se consideriamo che i ritorni attesi sono dell’ordine dei 150 miliardi l’anno con un incremento dell’8-10 % di PIL in cinque anni. Potremmo quindi avere città sostenibili a costi sostenibili adottando azioni di ecologia diffusa, trasformando le comunità di quartiere, di vicinato, di condominio, in eco-comunità. Investimenti che potrebbero da un lato soddisfare un enorme bisogno di abitazioni di adeguato standard tecnico e economico che si stà accumulando nel nostro Paese e, al contempo, rivitalizzare il settore edile che da troppo tempo perde appetibilità e investimenti, con risultati di riduzione del disagio sociale e economico arrivato a livelli non più sopportabili. Altro che finte liberalizzazioni direbbe qualcuno.
Arriviamo perciò al modello delle smart-cities, le città intelligenti dove, come afferma Legambiente, l’uomo può essere più libero. In Italia se ne parla da qualche tempo mentre altre realtà in tutto il modo già lo attuano, vedi gli eco-quartieri di Berlino o Amsterdam, per restare in Europa, o più radicali esempi come Masdar City negli Emirati. Sono in qualche modo le istanze che anche qui dalle nostre parti si sostengono, sosteniamo. Solo che da noi se ne parla, all’infinito in una sorta di discorso circolare che riparte sempre dallo stesso punto per piccoli interessi di bottega. Allo stesso modo di quando ci (non) occupiamo delle grandi infrastrutture strategiche per le quali vige la cultura del benaltrismo, più o meno interessato. Come nel caso del Ponte sullo Stretto giunto, almeno per il momento sembra, al suo epilogo finale. E dire che tutta una prestigiosa comunità scientifica internazionale ne ha sostenuto recentemente l’importanza strategica e il grande impatto in termini di evoluzione scientifica sia sull’opera in se stessa sia in termini di conoscenza del territorio. Se ne parla, straparla, da anni; noi ci accontentiamo, anche in questo caso, dell’esercizio dialettico. Per dirla alla Cronin…e le stelle stanno a guardare.
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