Un’indagine dell’Associazione nazionale dei contribuenti italiani, presentata al recente convegno “La riforma del fisco in Italia” svoltosi a Napoli, ha fatto emergere il dato che il 23 % dei professionisti e lavoratori autonomi italiani è, per così dire, poco attento agli obblighi fiscali; eseguono cioè prestazioni senza denunciarne al Fisco i relativi incassi.
In questo poco invidiabile elenco vi è da rilevare che gli architetti occupano l’ottavo posto in classifica e gli ingegneri il tredicesimo, Come dire che questi professionisti non sono tra i più infedeli. Dato ancora più singolare è che tra le regioni d’Italia dove più alta è l’evasione di queste tipologie di contribuenti , secondo quest’indagine spiccano al primo posto quelle ricche del Nord mentre quelle meridionali , ed in particolare la Sicilia, sono agli ultimi posti.
Questi dati ci consentono quindi una serie di riflessioni di carattere generale.
La prima è che vi è una certa, perversa, convenienza all’evasione perchè la pressione fiscale nel tempo è sempre più lievitata, diventando oppressiva fino ad incidere, in alcuni casi, su utili prefigurati e non ancora concretizzati; poi perchè vi è una sorta di comunanza di interessi tra il lavoratore infedele ed il cliente, il quale a fronte di una mancata fatturazione ha un consistente risparmio derivato almeno dal non versamento dell’IVA se non aggiunto ad uno scontro supplementare sulle prestazioni.
Poi, la distribuzione territoriale delle sacche di maggior evasione ci sottolinea, caso mai ve ne fosse bisogno, come il Paese sia diviso in due sul piano del reddito disponibile. Le regioni del Nord Italia hanno un mercato delle prestazioni autonome sicuramente molto più corposo e ricco di quelle del Sud, dove invece questo tipo di attività è più sviluppata nell’ambito delle commesse pubbliche che, se da un lato comportano una sostanziale impossibilità dell’evasione, dall’altro sono testimonianza di un’economia che ancora oggi ha connotati di tipo pubblico-assistenziale.
Peraltro questi dati dimostrano ancora che per arginare il fenomeno dell’infedeltà fiscale a poco servono i provvedimenti di stampo punitivo o polizieschi. Essi non disturbano o poco spaventano chi dell’evasione ha fatto la sua forma di concorrenza, sleale, e di appetibilità sul mercato; invece appesantiscono di procedure, di oneri economici oltre il sostenibile, chi cerca di essere rispettoso dei propri obblighi e dello Stato, rendendo ancora più difficoltosa e penalizzata la sua attività.
Dicevamo gli architetti e gli ingegneri, specie al sud, non sono tra i contribuenti peggiori. Non a caso, almeno negli ultimi due e passa decenni, queste categorie hanno fatto numerose proposte per rendere difficile e non conveniente l’evasione. Ricordo, ad esempio, una proposta per rendere obbligatorio , per ogni tipo di prestazione professionale d’ingegneria e d’architettura, il visto dell’Ordine di appartenenza, possibilmente accompagnato dall’esazione materiale dei compensi da parte di quest’Ente. Come pure, è proposta più volte emersa, quella di rendere detraibili, anche parzialmente, da parte dei privati gli oneri sostenuti per spese professionali, creando così quel conflitto d’interessi tra committente e prestatore d’opera, che potrebbe avere benefici non indifferenti. Il caso del credito d’imposta sulle ristrutturazioni edilizie ne è un esempio.