Alla fine di lunghe giornate di intensi lavori gli architetti di tutto il mondo, solo qualche mese fà, hanno evidenziato il loro convincimento di essere attori di un processo metodologico ed operativo volto a dare un concreto contributo ai problemi dell’ambiente, della sostenibilità, dello sviluppo ordinato e coordinato delle aree urbane. Hanno in sostanza ribadito che l’architettura è l’unica arte che è tale solo se è anche eticamente utile, contribuendo a risolvere i problemi dell’umanità. Non può essere quindi un mero esercizio estetico o spettacolare.
Tra i fieri sostenitori di questa tesi anche il curatore della Biennale veneziana di architettura, che è la più importante del mondo, Aaron Betsky.
E tuttavia Betsky, passando all’azione concreta, ha posto come tema focale della sua Biennale il formalismo spinto, chiamandolo sperimentazione. Ha cioè posto al centro dell’evento veneziano una architettura paradossalmente liberata dal suo essere edificio, perchè, in questa sua visione, l’architettura è una installazione sperimentale che deve contribuire a farci capire il mondo moderno e farci sentire a casa in esso. Non interessa più, secondo Betsky, che la costruzione assolva alle sue funzioni; paradossalmente l’architettura vale in quanto modulo estetico da osservare dall’esterno non importando come si viva al suo interno. Una sorta di arte astratta!
D’altronde l’architettura viene insegnata, si impara, viene raccontata, attraverso le grandi opere, piramidi, templi, chiese, piuttosto che stadi, musei ed aeroporti. Dove l’edificio tende a diventare , e per certi versi deve esserlo, simbolo oltre il suo contenuto e la sua funzione.
E’ un ragionamento a mio avviso deludente e pericoloso che, mi auguro, non avrà un particolare seguito nel mondo reale. Mondo che, la cronaca ce lo ricorda ogni giorno, vive giorni drammatici nel momento in cui le sue locomotive economiche e sociali affrontano una crisi senza precedenti, strette come sono da problemi finanziari, politici, di sperequazioni e squilibri che costringono grandi masse di persone a migrazioni epocali.
Ecco perchè la Biennale veneziana di quest’anno è deludente, forse pericolosa: perchè, nel momento in cui l’architettura diventa attività autoreferenziale, segna una cesura con la sua ragione d’essere.
E dire che l’esperienza della stragrande maggioranza degli architetti di tutto il mondo è basata sul soddisfacimento delle esigenze di vita delle persone; è fatta del vivere e lavorare quotidiano anche se questa, quasi per tutti, non è una scelta consapevole ma derivata dalle circostanze e dagli ambiti in cui si trovano ad operare.
Ciò non esclude che anche a piccola scala si possa operare da architetti e non da semplici costruttori. La leggerezza dei materiali e delle strutture, la luce usata come materiale del progetto, il rapporto con la natura ed il paesaggio, lo studio della materia della costruzione, delle sue possibilità espressive, tutto questo si può coniugare anche a piccola scala con le funzioni della costruzione, che nasce per soddisfare un bisogno concreto. Una sfida creativa che si confronta con tutta una serie di vincoli e problemi che, in una visione positivista, forse è bene considerare occasioni per l’innovazione, anche quando dobbiamo ridurre i budget. D’altronde, dice un grande maestro come Kengo Kuma, che cos’è l’invenzione se non il risultato della capacità di intuire le potenzialità di ciò che è ordinario?