La lezione che viene da Sarkozy l’arte di costruire è anche politica

Il Presidente francese Sarkozy ha costruito il suo percorso politico e di consenso usando da maestro l’arte della comunicazione per conquistarsi, ad ogni occasione, l’attenzione dei media. Per un italiano è quindi ancor più sorprendente che, in uno dei suoi primi più importanti discorsi, Sarkozy ragioni, da politico, sull’essenza, sull’utilità sull’essere dell’architettura.
Voglio porre l’architettura al centro delle nostre scelte politiche, dice Sarkozy, perchè essa ha un ruolo primario nel destino individuale e collettivo degli uomini. Lo fa certamente anche in nome della grandeur e per promuovere l’arte e l’architettura francese di tutti i tempi. Non perde però l’occasione di porre al centro del suo discorso il rapporto tra questa e l’ambiente e lo fà citando Paul Valery: << noi stiamo, ci muoviamo, viviamo nell’opera dell’uomo>> ;da valore all’architettura in quanto arte che è capace di produrre un patrimonio culturale che, al pari della musica, del teatro, della pittura, rappresenta una valore in sè, oltre ed al di là della sua concezione utilitaristica. Dice espressamente che l’architettura non può essere considerata una semplice merce; và sostenuta perchè capace di dare significati, speranza, piacere, perchè essa stessa è l’anima della civiltà.
Parlando di architettura parla di politica perchè, dice , l’architettura è politica, è il crocevia delle politiche culturali, economiche, ambientali, di un popolo. Ed in un momento in cui alcuni valori comuni vengono minacciati individua nella capacità di produrre nuova architettura il simbolo di un nuovo afflato creativo e di riscatto di un popolo, il suo popolo.
Individua nella figura dell’architetto il costruttore di nuove realtà individuali e collettive capaci di ridurre od annullare le differenze sociali che pur il mondo globalizzato e competitivo crea , poichè capace di produrre una qualità dell’ambiente e delle città autenticamente democratica in quanto da tutti indistintamente fruibile.
La capacità di un popolo si misura ormai nella propensione all’innovazione e quindi individua nella sperimentazione e nell’audacia architettonica l’esemplificazione della capacità di una nazione a governare ed essere protagonista dell’innovazione generale di una società.
E tanto convinto di questo che individua , da esperto mediatico, che l’architettura per svilupparsi abbia bisogno di essere promossa e veicolata, verso i acquirenti, verso i sindaci, verso le imprese, assegnando questa responsabilità proprio alla politica ed a se stesso. Individua ancora con passione alcune strategie per raggiungere quest’obbiettivo proponendosi di ribaltare il modo di concepire le regole che governano la produzione di nuova città, proprio partendo dalla critica a quel funzionalismo e dai lacci dei rapporti e dei numeri che imbrigliano e standardizzano verso il basso le proposte del mercato, augurandosi che “le regole edilizie ed urbanistiche lascino più ampi margini alla scelta dei mezzi per conseguire gli obbiettivi”, ritenendo che ormai il sistema vincolistico sia arrivato al suo limite massimo e quindi prossimo a soffocare ogni libertà di pensiero. Và ancora avanti il pensiero di Sarkozy e non vi è qui altro spazio per ragionarne. Sembrerebbe tuttavia che il Presidente abbia convissuto in questi anni a fianco degli Architetti italiani che da troppo tempo propongono questi ragionamenti. Purtroppo inascoltati.

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