Nel 1968 diceva Robert Kennedy: “Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base del Prodotto Interno Lordo…esso comprende l’inquinamento e la pubblicità delle sigarette, comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere giocattoli. Non tiene conto della salute delle nostre famiglie…della bellezza della poesia né della giustizia nei nostri Tribunali e non misura la nostra intelligenza…Oggi si tende a misurare tutto, eccetto ciò che rende la vita degna di essere vissuta”. Alla luce dell’anno che oggi si conclude possiamo considerare questi ragionamenti, e il loro corollario, quasi profetici vista la situazione con la quale siamo chiamati a confrontarci. Ragionamenti riallacciabili in qualche modo a una scuola di pensiero economico evidenziata da J.Bradford DeLong, docente presso l’Università di Berkeley e, in passato, membro del board del Dipartimento economico del Tesoro americano durante l’Amm.ne Clinton.
Una scuola economica che vanta illustri protagonisti come il Premio Nobel Paul Krugman, che ha come matrice l’orizzonte storico quale chiave di lettura su cosa è avvenuto e su dove stiamo andando e che ben mette in evidenza i limiti e le debolezze della politica economica europea e i guasti già causati, ben minori di quelli che la sua prosecuzione comporterà nel prossimo futuro. Una scuola che aveva previsto come gli eccessi speculativi della finanza avrebbero causato il panico e la fuga dei risparmiatori (vedi nel 2008 la crisi dei mutui sub-prime in America) e aveva capito come le cure monetaristiche si sarebbero rivelate insufficienti senza una Banca centrale capace di emettere moneta; come pure che il perseguimento di un equilibrio fiscale di lungo termine in un periodo di tempo troppo breve avrebbe peggiorato la crisi e quindi avrebbe avuto gravi effetti controproducenti dati da un eccesso di rigorismo e di liberismo, proprio di chi considera il rapporto del debito/PIL quale indice di valore degli Stati, intendo per debito solo quello primario dello Stato senza considerare il patrimonio globale di un Paese, come invece sosteneva Robert Kennedy.
Oggi il dimissionario Governo italiano si vanta di aver “compiuto la missione” e basa questo convincimento sul fatto che lo spread è sceso, quindi l’Italia è un Paese credibile. Ma quale Paese? Forse quello della finanza e delle banche, non certamente quello reale fatto di persone, di ambiente, cultura, i cui problemi abbiamo visto aggravarsi e misurabili in indici di economia reale (disoccupazione, crollo dei consumi, perdita di valore del patrimonio immobiliare, disagio sociale, tassazioni inverosimili e tali da impedire qualsiasi ipotesi di sviluppo, e anche pesanti limitazioni alle libertà economiche personali) che fanno paura. In questo la nostra politica, di ogni colore e schieramento, è stata complice e artefice per meri interessi di palazzo e al di là di ogni proclama. Anche per paura di non godere della considerazione delle istituzioni europee a influenza germanocentrica che di questo liberismo-rigorismo finanziario sono state alfieri. Dobbiamo augurarci che il buon senso, assistito dall’evidenza, ritorni e che le ragioni dell’uomo, della sua storia e della sua cultura variegata, tornino protagoniste. È con quest’auspicio che vi auguro e mi auguro un miglior 2013.