La pianificazione urbanistica di Catania

Visto che la fine del mondo non c’è stata, almeno fin’ora, di questo mondo dobbiamo continuare a occuparci e, nel nostro piccolo, dei problemi della nostra città. Che non ha un nuovo strumento di pianificazione urbanistica dal 1964 pur avendo varie volte, sotto diverse sindacature, tentato di darsene uno. Iniziavo il 2012 scrivendo delle Linee guida del nuovo PRG che l’Amministrazione si apprestava a presentare e, in effetti, alla fine lo strumento è approdato nell’Aula del Consiglio Comunale, non senza un approfondito-a volte acceso-dibattito tra le forze sociali, politiche e culturali  che la nostra collettività esprime, tra plausi e  critiche com’è naturale che sia e che continuano anche i questi giorni. Dibattito che è stato caratterizzato da una insolita ma ormai solida convergenza delle posizioni espresse dagli Ordini professionali degli Architetti e Ingegneri e anche dalla rappresentanza dei Costruttori e che, se ha visto al suo avvio una certa divaricazione tra queste posizioni e quelle dei redattori del Piano, oggi sembra poter dire che si siano molto contemperate e avvicinate. Buon segno, significa che esse non erano acriticamente pregiudiziali ma avevano bisogno, com’è ovvio, di confronto.

Oggi sappiamo che, complice la gravissima crisi che attraversa l’intera economia -il comparto delle costruzioni in particolare- ci si è riavvicinati sui concetti di riqualificazione concreta della città esistente che ha bisogno di essere resa più sicura e efficiente, sulla necessità di migliorare la complessiva qualità dello spazio urbano che rappresenta in se un potente sistema di welfare quando i sistemi tradizionali sono abbastanza in crisi, quando, e non lo scopriamo certamente qui, il comparto delle costruzioni e delle trasformazioni territoriali rappresenta un formidabile volano per lo sviluppo e la ripresa economica. A certe condizioni: la prima delle quali è che la pianificazione e le azioni della trasformazione territoriale devono essere sostenibili in senso allargato. Il che vuol dire che il territorio va inteso come risorsa ma non bene consumabile a prescindere e a priori; vuol dire che le azioni proposte debbono essere rese fattibili e in tempi brevi perché esplichino il loro potenziale economico e, in questo senso, mi pare poter dire che oltre all’auspicabile semplificazione burocratica- punto ancora debole- si indirizzino in modo da poter favorire l’azione della struttura economica che caratterizza Catania e in genere le città siciliane, e cioè quelle piccole-medie imprese, i privati, le strutture professionali che ne sono la base produttiva.

Significa che alcune scelte hanno bisogno ancora di qualche limatura ( per esempio la riduzione del numero e della dimensione dei piani attuativi sia per la città esistente che per le –troppe- aree di espansione. Significa che bisognerà ridurre ancora gli apparati inutilmente vincolistici che riducono la possibilità di sostituzione del tessuto edilizio esistente, in molte parti gravemente insicuro. Significa che i rappresentanti politici dovranno fare uno sforzo di volontà per non cedere, come troppo spesso è accaduto in passato, a logiche di calcolo e convenienza politica e licenzino nel più breve tempo possibile questo strumento, anche se  questo dovesse comportare qualche rinuncia di carattere personale. Perché Catania ne ha bisogno e perché, come dice un mio caro amico, è meglio un Piano, anche se imperfetto, che nessun Piano. Buon Natale

 

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