Shanghai, appunti di viaggio

Un altro mondo, dall’altra parte del mondo; questa è la sensazione che mi è rimasta da un recente viaggio a Shanghai, capitale economico-finanziaria cinese, il porto più importante dell’Asia, una delle città tecnologicamente più avanzate dell’intero pianeta. Un altro mondo, che ha avuto il suo start-up una ventina d’anni fa quando il governo cinese ha deciso di abbassare notevolmente il peso fiscale a carico della provincia, attirandovi Imprese e capitali dall’intero pianeta e che hanno sviluppato servizi finanziari, manifattura, alta tecnologia, commercio. Shanghai sorge sulle rive del Huangpu presso la foce dello Yangtze. Tra le due rive la città, che conta 22 milioni di abitanti, assume due aspetti sostanzialmente diversi: la riva occidentale mostra ancora la sua natura di città asiatica e coloniale con la permanenza, specie nel Bund, di alcune case tradizionali cinesi cui si affiancano grattacieli costruiti in stile decò negli anni ‘30 da architetti americani (ne ho visti molti di Palmer & Turner), altissime case popolari statali prive di qualsiasi valore estetico o di semplice decoro manutentivo e anche grattacieli di recente costruzione dalle strane forme, raramente riferibili alla cultura cinese: passeggiando per questa zona si passa improvvisamente da una strada commerciale lunghissima, larga 50 metri e contornata da grattacieli a vicoletti a cortile con basse case a due piani e i panni stesi; dalle vetrine delle grandi firme a una infinita teoria di botteghe dove di tutto e di più viene esposto. Un caleidoscopio di colori, odori, sensazioni, lingue, inebriante e che dà il senso, la complessità della città. Finisce sul fiume con un interessante river-front sopraelevato dal quale ammirare verso ovest la cortina di pregiati edifici anni ‘30 e, verso est, il nuovo quartiere  di Pudong, dove stanno sorgendo grattacieli su grattacieli su strade larghe anche 100 metri, in una corsa verso il futuro e verso l’alto che sembra non finire mai. Qui c’è un’altra Shanghai, quella delle banche, delle grandi società, dell’economia, che ha l’obbiettivo di stupire il mondo, di comunicare la sua potenza e la sua efficienza,  e vi riesce benissimo. Che poi ciò crei la città, socialmente intesa, è tutto da discutere. Non bastano, secondo me, i grattacieli altissimi, anche di grandi firme, non basta la Jin Tao Tower di Skidmore Owings & Merril, né lo Shanghai World Financial Center di Khon Peter Fox (noto come il “l’apribottiglie” per la sua particolarissima siluette) accanto al quale sarà ultimata, nel 2014, la Shanghai Tower, tra i più alti edifici al mondo con i suoi 632 metri. Per quanto mirabolanti, tecnologicamente più che avanzati e arditi, danno solo stupore ma non emozione,  son  solo un’expò della capacità economica della Repubblica Cinese, una sorta di icona dietro la quale però, bisogna riconoscerlo, vi sono capacità tecnologiche e organizzative che è difficile immaginare e che hanno già cominciato a dilatarsi oltre i confini nazionali;  solo un dato: a Shanghai la dimensione media di una firm di architettura è di duemila dipendenti, quasi tutti ad alto profilo professionale.  Forse sarà per questo che i Cinesi hanno apprezzato particolarmente il padiglione italiano all’Expò universale, tra i pochi mantenuti e che conta 23 richieste di acquisizione. Ancora una volta il Made in Italy è sinonimo concreto d’eccellenza… sempre che alla fine resti in piedi un’Italy.

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