Ponte sullo stretto e soldi sprecati

Una delle ultime news recita che il Governo non riattiverà le procedure per  la costruzione del Ponte sullo Stretto e stanzierà 300 milioni di Euro per far fronte alle penali da corrispondere alle imprese  che si sono aggiudicate l’appalto. Soldi  che si aggiungono ai tanti già spesi per la redazione del progetto, per l’avvio delle opere preliminari e, non ultime, per le spese di funzionamento della Società diretta da Pietro Ciucci. Già, perché il Ponte, secondo l’attuale governo tecnico, non è di prioritario interesse per la Nazione.  Si vede che forse i siciliani sono italiani di serie inferiore.  Secondo i cultori del “benaltrismo” poi, altre son le opere di cui la Nazione ha bisogno, la coperta è corta, i soldi sono pochi e bisogna spenderli oculatamente: vero! Facendo però  due conti, si vede che i 300 milioni sono letteralmente buttati, a perdere, e si aggiungono agli 1.4 miliardi di euro che si spendono ogni anno per mantenere missioni militari di pace (?) all’estero, i cui ritorni  sul piano dell’influenza politico-economica del Paese sono, secondo autorevoli commentatori, risibili (vedi i marò in India); si possono spendere (poca cosa intendiamoci) 5 milioni di euro per consentire ai parlamentari di parcheggiare facilmente nei pressi di Montecitorio, si possono spendere 13 miliardi di euro per l’acquisto di nuovi caccia e, soprattutto, si restituiscono alla Comunità europea milionate di euro di finanziamenti non spesi per colpa di una classe politica siciliana, regionale e nazionale, che definire inefficiente e sostanzialmente inutile è poco. Solo per il Ponte? No, a ben vedere la Sicilia ha solo il diritto di sorbirsi l’inquinamento delle numerose raffinerie per la produzione di carburanti, non ha il diritto di aprire un casinò, deve ancora utilizzare un sistema ferroviario da terzo mondo, non ha il diritto di raggiungere , a costi e tempi accessibili e certi, i centri vitali del Paese. Il Ponte, salvo diversa dimostrazione, renderebbe fattibile, anche per la Sicilia, l’alta velocità ferroviaria, consentendo di raggiungere Roma o Napoli  e viceversa in tre ore così come avviene tra Roma e Milano e renderebbe possibile il miglioramento della rete ferroviaria dell’Isola. Le refluenze economiche di questa connessione efficiente tra Sicilia e continente, non solo l’Italia ma tutta l’Europa, sono note e sin troppo dibattute pensando al commercio, l’industria e il turismo ed è inutile qui ripeterle. Mi piacerebbe solo che i nostri governanti e i benaltristi  fossero costretti a passare lo stretto in estate o con il mare mosso su quelle carrette anteguerra o dismesse da altri Stati che si è costretti a usare, oppure fare viaggi d’affari o di piacere, non dico in treno -non sono così malvagio- ma in aereo da Catania o Palermo per Roma per i quali, senza considerare i ritardi, bisogna mettere in conto tre-quattro ore e 150-200 Euro a persona. Se questo è il diritto alla mobilità mi chiedo cosa significherà, per esempio, l’accorpamento delle sedi dei tribunali in termini di costo e tempi. Senza contare che Messina e Villa S. Giovanni  dovranno ancora subire, per chissà quanto tempo, l’assedio di tir e auto che devono raggiungere gli approdi e che i litorali sullo stretto continueranno ad essere invasi da barriere di ferro  che ne impediscono un diverso sviluppo turisticamente e ecologicamente orientato. Ma tanto i siciliani, e anche i calabresi, hanno pazienza, ma fino a quando?

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