La crisi, i programmi e le prospettive

Volendo usare un semplice slogan si potrebbe dire: il lusso non è in crisi. Direte: è sempre stato così e ci sono tanti modi di dire per esprimere lo stesso concetto. Verissimo, quello che però mi pare sia utile considerare riguarda le diverse declinazioni con le quali il “lusso” si può intendere. Se ci riferiamo alla moda o al settore dell’arredamento, le analisi della produzione e delle aspirazioni di notissime aziende a diffusione planetaria, tra le quali quelle italiane rappresentano una cospicua parte, ci dicono che da semplici “brand”-marchi riconoscibili- hanno cercato di essere percepiti come “lifestyle brand” cioè dire come modelli di uno stile di vita. Cosa che ha consentito loro, anche in periodi difficili come questo, di accrescere la penetrazione nei mercati specie quelli dei Paesi emergenti, Cina, India, e anche Brasile o Medio Oriente. Credo di capire che, in un mondo tendente sempre più alla massificazione globalizzata, la ricerca di un recupero dell’identità della singola persona o gruppo, della riconoscibilità coniugata a una elevata qualità di prodotto può costituire e ha costituito un efficace metodo per conservare e accrescere settori di mercato, il che significa a un tempo miglioramento della qualità della vita e mantenimento di un tessuto produttivo e della ricchezza da esso prodotta. Se consideriamo il mondo nella sua interezza, per questo modo di intendere la produzione ci sarà sempre più spazio;, non a caso le Aziende che vi operano, specie nel campo dell’arredo, aumenteranno nei prossimi anni i relativi investimenti che sono per la massima parte rivolti all’innovazione e alla ricerca.
Non credo sia molto diverso nel mondo che riguarda più direttamente questa rubrica e cioè quello (anche) dell’edilizia, con alcune precisazioni: se è vero che esiste un mercato del lusso nelle costruzioni meno ciclico di quello tradizionale, oggi possiamo intendere il “lusso” anche declinato rispetto alle qualità intrinseche degli edifici che non sono solo estetiche. Ciò riguarda certamente i Paesi che prima ho citato, verso i quali una Politica più attenta a livello centrale e locale potrebbe favorire un’azione di esportazione di intelligenze e competenze, presenti nel nostro Paese forse più che negli altri competitor mondiali, e perché lo stile “italiano”, in questo settore più che altri, sa relazionarsi con le culture e le specificità dei singoli luoghi.
Il paradosso è che l’Italia stessa rappresenta un bacino di mercato potenzialmente enorme, capace di garantire sviluppo e occupazione non solo alle sue imprese e professionisti ma anche a partner internazionali. Si perché l’Italia tutta ha bisogno, anche urgente, di una seria manutenzione straordinaria del suo territorio globalmente inteso. Sconta un gap infrastrutturale e di valorizzazione dei suoi ambiti storico-paesaggistici, sconta, da decenni, l’assenza di politiche di riqualificazione urbana e del tessuto edilizio sia fisico che tecnologico il cui superamento avrebbe una dimensione economico-congiunturale forse maggiore della ricostruzione post-bellica . Invece assistiamo a balbettii e timidezze, per non dire inefficienze, che riguardano certamente l’azione programmatoria ma anche i comportamenti dei singoli, siano essi committenti, imprese, professionisti, troppo presi dal contingente e da piccoli egoismi radicati che non fanno vedere un futuro a portata di mano.
Ma non è mai troppo tardi. Almeno non ancora.

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