DA UN ALTRO PUNTO DI VISTA


L’iter di recepimento del DPR 380/2001 (testo unico dell’edilizia), in Sicilia, è stato particolarmente travagliato e lungo. Fatto anche di concertazione con le forze produttive e professionali. Ora, la Corte Costituzionale -su ricorso dello Stato- ha dichiarato l’illegittimità di alcuni suoi articoli veicolati come una forma surrettizia di condono.
 A leggerne le motivazioni giuridico-formali, l’impugnativa e la dichiarazione di incostituzionalità appaiono più che perfette e ineludibili e già ci sono esponenti politici che cantano vittoria o ne approfittano per riversare il malfatto sulle spalle di un non ancora insediato Presidente della Regione.
Fughiamo subito ogni dubbio: qui nessuno, men che meno chi scrive, pensa di far un regalo a chi la Legge ha violato e, principalmente, ha violato i principi fondamentali di un corretto uso del suolo.
Tuttavia, come spesso accade, vi è un’altra angolazione dalla quale osservare le cose.
 Per esempio quella dell’effettivo merito e delle conseguenze che gli atti legislativi esplicano nella loro applicazione in un contesto dato. Che, in Sicilia come in molte altre parti d’Italia, è quello di un abusivismo diffusissimo, sia in termini di estensione superficiale che di quantità di volumetrie. Altro dato è il fatto che, malgrado il battage mediatico su ogni singola demolizione, queste avvengono rarissimamente e sporadicamente, per tutta una serie di motivi che non serve qui analizzare. E i tessuti, gli agglomerati abusivi restano lì, spesso degradatati, veri e propri detrattori ambientali e sociali perché, spessissimo, ospitano persone che non hanno altra possibilità abitativa.
Però, guardando da un altro punto di vista le norme impugnate -non tutte ovviamente- possiamo dire che esse facevano riferimento alla capacità del progetto e della pianificazione di dar risposte utili e al nostro vilipeso territorio e alle urgenze sociali. Mi riferisco all’art. 14 della legge regionale, il quale prevedeva la possibilità di condonare edifici, provvisti di tutti i pareri propedeutici necessari, se conformi alla disciplina urbanistica vigente al momento della presentazione dell’istanza. 
Vista con gli occhi del pianificatore (quello con la matita in mano), questa norma sarebbe stata interpretabile nel senso che -preso atto di un dato di fatto e in presenza dell’impossibilità concreta di procedere a demolizioni generalizzate- attraverso atti di pianificazione urbanistica (non solo formale bensì sostanziale) sia possibile ridisegnare questi agglomerati e conferire loro una legittimità in termini di servizi, sicurezza, qualità dell’abitare. Sono i concetti della riparazione architettonica e urbanistica che oggi vengono declinati nei termini di riuso e rigenerazione urbana. 
Ipso-facto, l’uso corretto e responsabile di questi criteri escluderebbe colpi di spugna generalizzati e non presupporrebbe neanche regali a cittadini infedeli. Nulla, almeno così credo, escluderebbe di espropriare gli immobili sanabili acquisendoli al patrimonio dello Stato dandoli in uso oneroso agli abitanti e/o di costringere gli autori degli abusi a farsi carico degli oneri necessari ad attuare correttamente il programma.
Invece la dichiarazione di incostituzionalità -ineccepibile per carità- lascerà le cose come stanno. Gli agglomerati abusivi, anche quelli sulle coste e in Sicilia ne abbiamo tantissimi, resteranno dove sono a meno di qualche sparuto caso di demolizione ogni due/tre anni, i loro abitanti pure molto spesso nel degrado sociale e nell’insicurezza, l’ambiente e il territorio continueranno a soffrirne però, però la forma e il principio giuridico sono salvi.
 Se fossimo un Paese intelligente lo Stato forse avrebbe fatto meglio a cercare di capire le possibilità introdotte dalla norma siciliana, migliorarla eliminandone alcune esagerazioni (il silenzio assenso ad esempio) e dare il via ad una diffusa opera di gestione/manutenzione del territorio. 
Forse.

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