Non farà piacere a qualcuno quanto leggerete, se vorrete ma, a volte, bisogna esprimersi con chiarezza, a costo di essere antipatici.
Due giorni di convegno, con presenze importanti anche a livello istituzionale hanno testimoniato la nascita di un nuovo (l’ennesimo) gruppo? associazione? club service surrogato? comitato interprofessionale? fate voi…
Intendiamoci, non che associarsi per esprimere un’intelligenza collettiva e un pensiero condiviso non sia utile, però occorre farlo dichiarandosi trasparentemente e con chiarezza. E questo ho avuto difficoltà a percepire, almeno io con la mia limitata capacità intellettiva, assistendo a una trance degli eventi di “IN MOTUS”; non l’ho percepito neanche nella trattazione del tema sulla sicurezza degli attori libero- professionali, che ha preso spunto dalle aggressioni fisiche subite da due operatori sanitari della nostra comunità, l’ultima avvenuta in una Guardia Medica.
Alla domanda posta dal conduttore “ cosa possono fare gli ordini professionali per garantire la sicurezza dei propri iscritti nell’esercizio delle attività”, quasi tutti i presenti hanno declinato due temi: garantire il rispetto -da parte dei professionisti- delle regole deontologiche e/o l’ investimento in formazione.
Chiedo scusa, ma ho avuto l’impressione di assistere ad una udienza penale per fatti di violenza sulle donne dove il giudice, invece che accertare se l’imputato fosse realmente colpevole, chiedeva alla vittima perché avesse indossato una minigonna o i jeans attillati…
Pochi si sono discostati da questa strana impostazione; tra questi il Presidente dell’Ordine degli Architetti che, opportunamente, ha parlato della “violenza” -lunga molti anni- che lo Stato quotidianamente esercita contro i liberi (?) professionisti, trasformando sic et simpliciter quella che è per sua natura una obbligazione di mezzi in una di risultato, avallando la condizione che il lavoro intellettuale valga, economicamente, poco o nulla, rendendo i professionisti subalterni, peggio vittime, al potere finanziario, favorendo una concorrenza sul piano economico a svantaggio di quella sulla capacità di dare risposte appropriate e responsabili.
Tutte queste azioni, ancora operanti, hanno reso possibile una cosa grave: ridurre fino ad eliminarlo il rispetto -la considerazione- morale e materiale nei confronti dei professionisti intellettuali, merce a perdere. E in questo, ne hanno parlato altri illustri relatori, una grande responsabilità và attribuita all’uso distorto della rete, di Internet. E’ stato citato quel cartello che un medico ha esposto nel suo studio: “Si avvisano i signori pazienti che hanno già diagnosticato la loro malattia su Google, di fare un secondo consulto su Yahoo prima di farsi visitare quì” o qualcosa del genere.
In sostanza, la diffusione generalizzata e incontrollata di informazioni o pseudo tali sulla rete causa una sorta di delirio della capacità ri-cognitiva diffusa in tanti utenti, su temi di grande delicatezza, per il quale ciascuno si sente portatore di conoscenze specifiche “perché l’ho visto su internet”. Un delirio appunto!
La somma di questi due fattori -tra gli altri- ha determinato la modifica delle aspettative nei confronti dell’opera dei professionisti intellettuali: atti e rendimenti dovuti, sempre e a prescindere, come se si trattasse delle prestazioni di un’automobile e non di problemi spesso di grande complessità e delicatezza, nei e per i quali è necessaria una grande preparazione e serietà d’approccio.
Certo, quando le università licenziano laureati con una formazione più che incerta, quando questi superano un esame di stato senza adeguata selezione e vengono immessi nella realtà lavorativa senza un adeguato bagaglio di conoscenza pratica che si acquisisce con doverosi anni di gavetta, la credibilità delle professioni ne risente, facendo il gioco di chi la libera professione intellettuale vorrebbe snaturare a proprio vantaggio (economico). In questo sì, c'entrano la “deontologia” e la "formazione".
Antipaticamente vostro…