La burocrazia e la Torre di Babele

Da anni non c’è dibattito sullo stato del Paese dove non si evidenzi, tra i mali che ci affliggono, la burocrazia. Si, ma che cos’è la burocrazia? Se vogliamo tentarne una definizione pratica, potremmo individuarla nel sistema complicato delle Leggi, Regolamenti, iter e prassi consolidate che definiscono tutti i processi che mettono in relazione i cittadini e il mondo del lavoro con la macchina statale. Al concetto di burocrazia si associa anche tutto il personale, dal Dirigente ministeriale fino a messi e uscieri, che ne consentono il funzionamento. Ecco, nel sentimento popolare a questi lavoratori viene spesso imputato il malfunzionamento e le discrasie che indubbiamente sopportiamo. A ben vedere però, tolta l’inevitabile quota, comune a tutte le categorie di lavoratori e cittadini, di disonesti, ignavi, incapaci – una minoranza a ben vedere- essi sono in realtà spesso vittime -come la società- di un sistema malato.
Ragionando sul caso che meglio conosco, quello dei professionisti tecnici impegnati nella P.A., essi subiscono, al pari dei cittadini e del mondo della professione, le incongruenze e le stupidaggini, quando non peggio, di Leggi scritte da incompetenti, anche nella lingua italiana, da politici che sconoscono la materia della quale si occupano e non sono in grado di capire le difficoltà e i blocchi al vivere e all’economia che norme così fatte sono in grado di arrecare. Sono chiamati a districarsi, con le conseguenti responsabilità, in un oscuro ginepraio di rimandi, codicilli, contraddizioni, e lo devono fare con scarsi mezzi. E’ ovvio che in un sistema siffatto possano aversi anche sacche di malaffare e sopraffazione. Di più, da alcuni anni, i professionisti nella P.A. vengono considerati dei semplici “numeri”, delle unità, da impiegarsi a piacimento, a volte senza relazione con le loro specifiche competenze; con la scusa della libertà e del risparmio per le casse statali, è stata data loro la “facoltà” di compiere atti professionali interni alla P.A. senza essere iscritti ai relativi Albi: la negazione pura e semplice del loro status di lavoratori della conoscenza! Da qui non è infrequente il caso di trovare, in posti di responsabilità, persone dotate di competenza tutt’affatto diversa da quella necessaria: geometri che controllano calcoli strutturali elaborati da ingegneri, geologi che valutano caratteristiche paesaggistiche di opere d’architettura, architetti che gestiscono uffici di collocamento e simili... come dire che, atteso lo status di dipendente pubblico, si può esser comandati a far tutto. Ma vi immaginate cosa succederebbe in un’importante azienda se venisse adottato questo criterio? Una Torre di Babele tutta italiana al cui confronto il riferimento storico assurgerebbe a modello di efficienza e organizzazione. Mah!
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Penso invece che bisognerebbe lottare per restituire alla professione tecnica la dignità di ruolo che le compete e che è riconosciuto in tutto il mondo, Italia esclusa. Fin quando il sistema ordinistico esisterà i professionisti, tutti, dovrebbero ritornare a farne parte perché identici sono gli scopi e le finalità della professione, comunque esercitata da dipendente o libero professionista. E in quel luogo, preciso e omogeneo, trovare le compensazioni etiche rispetto ai diversi interessi e alle diverse problematiche, professionali, economiche e lavorative. Sarebbe una cosa buona e logica. Per questo sarà difficile attuarla.
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