Lavoriamo per procurarci il denaro necessario ai nostri bisogni, alcuni lo fanno per il piacere della sua accumulazione e del potere che rappresenta possederlo. Sul denaro si fonda il rapporto Stato-cittadini e, almeno nel nostro Paese, è una corsa continua a drenarne quanto più possibile per perpetuare o far crescere sprechi, inefficienze, prebende e, poco, qualche servizio. Non sono solo le tasse -da tempo un vero e proprio esproprio- a drenare i nostri soldi. Ci sono modi molto più subdoli tollerati dallo Stato se non favoriti, anche con il non adeguato governo dei rapporti tra privati. Se è scontato il riferimento alla Giustizia Civile e alle sue incredibili procedure, possiamo citare le Leggi che ci governano quando consentono, nella loro applicazione pratica, ai soggetti economicamente più forti di dettare la loro legge nei confronti dei più deboli; ci scandalizziamo per il fenomeno del #caporalato nelle campagne ma cosa dovremmo dire dei compensi che lo Stato stesso elargisce munificamente ai CTU… E cosa pensare delle Alte Magistrature (giustamente lautissimamente retribuite) quando affermano, recidivamente, che richiedere atti professionali privi di compenso è lecito (non oso però immaginare cosa ne penserebbero i Padri Costituenti). Lo stesso Stato che non conosce mezze misure quando deve reclamare quello che, per Legge, è dovuto. Con conseguenze tragiche a volte, ultimamente troppo spesso registrate. Anche nei rapporti sociali pervade questa forma di egoismo; disattendere patti stipulati, non riconoscere il giusto compenso al lavoro degli altri (anche se qualcosa è stata fatta, almeno nelle intenzioni) è diventata quasi la regola specie quando i rapporti di forza sono squilibrati; perché non vi sono, o non sono accessibili sempre a tutti, reali ed efficienti sistemi di tutela e compensazione dei diritti e perché la politica stessa, oltre che il sistema economico che governa una buona parte dei Paesi sviluppati, questo ci mostra e insegna. I soldi degli altri, i loro diritti, non contano, valgono solo i pretesi nostri e ci riteniamo bravi quando riusciamo, con la furbizia o la prevaricazione, a comprimerli, ce ne vantiamo! Vale però anche al contrario quando, per le nostre funzioni, non ci preoccupiamo di come agli altri facciamo spender soldi: nel mio campo, quando va bene, ciò si traduce a volte nella spettacolarizzazione dell’architettura, vista come un insieme di forme esteticamente roboanti che soddisfano un ego e non un bisogno; in sostanza una scienza che perde la misura e il senso del suo dover essere “utile”. Non pensando che, continuando a non riconoscere diritti, merito, misura e senso, ad un certo punto ci sarà nulla o poco da drenare. E allora il sistema va in tilt, si scatenano reazioni incontrollate e i #soldi che abbiamo lucrato ingiustamente nulla più rischiano valere. E’ già successo ma so bene che sono parole al vento.