«La forma dell'acqua» e le città

Attribuiamo la crisi che viviamo a questo o quel governo, alle politiche recessive e sbagliate della UE, alla corruzione e inefficienza del nostro personale politico, al gap infrastrutturale che ci divide dal resto dell’Europa, a tanto altro. Tutto vero, sono motivi convergenti per diversi fattori e diverso peso; tuttavia forse possiamo individuarne un’altra di causa –più generale- della nostra crisi: il fatto che ci troviamo al centro di un’epoca di passaggio e di grandi cambiamenti tecnologici, politici e sociali, che riguarda l’intero mondo e tutti i settori. Una sorta di nuova pre-rivoluzione industriale, molto più grande nelle dimensioni e negli effetti, la cui capacità di comprensione, nelle comunità, ne determinerà il loro sviluppo e benessere.

Un rapporto del Mc Kinsey Global Institute (The Firm, per gli addetti ai lavori) ci descrive da qui al 2025 una rivoluzione sociale e economica: interi settori saranno cancellati dall’affermarsi di nuove tecnologie, come recentemente è successo alla Kodak che non ha più retto, con le sue pellicole fotografiche, alla concorrenza del digitale o come, in passato, è accaduto alle aziende che si ostinavano a produrre telescriventi dopo l’avvento del fax. Lo sviluppo del Cloud (la nuvola virtuale delle informazioni accessibili) è già realtà ma la diffusione della stampa in 3D, l’energy storage, la mappatura del genoma umano, la robotica e l’internet of things, solo per citarne alcune, stravolgeranno interi settori del commercio e delle professioni, dell’industria, della cura della salute, gli stessi modi di abitare delle persone facendo si, da qui al 2025, che nelle prime 600 città del mondo il PIL crescerà di 30mila miliardi di dollari. Una buona parte dell’economia e dei modi di vivere sarà legata al mondo della rete, dove già oggi si genera un fatturato di oltre 18 mila miliardi di USD e sempre oggi, mentre in Svezia e Inghilterra la rete incide per il 6% del PIL, in Italia vale solo il 2%. E’ anche questo uno dei motivi della nostra crisi? Probabilmente si.
Visto da questa angolazione, l‘annoso dibattito che da noi si svolge sulle norme urbanistiche, sui processi di governo del territorio e sui loro aspetti quantitativi, sugli stessi processi di pianificazione della città nei modi più o meno soliti, ecco, visto da quì, appare un po’ ridicolo, surreale. L’economia, la società, la sua stessa composizione assumono e assumeranno sempre di più connotazioni di rapida variabilità globale, andiamo verso società più “liquide” e quindi le città, quelle in cui poi si genera reddito, benessere e cultura diffusa, si devono adattare in tempo reale a questi cambiamenti. Ne deriva che il sistema delle regole stesse dovrà mutare, non nella forma ma proprio nella tipologia, poichè dovranno governare città competitive, flessibili e di conseguenza creative, capaci di attrarre e generare creatività, in cui le relazioni tra le sue varie componenti fisiche e immateriali saranno allo stesso tempo labili e strettissime: dovranno essere anche attrattive in senso economico e anche estetico-ambientale , uno dei temi della competizione. Quindi fa un po’ sorridere l’accapigliarsi oggi su un mq. edificabile in più o in meno, su un grattacielo quì piuttosto che lì, nell’illusione di poter congelare oggi per domani la forma e la sostanza di una società e un’economia che, per dirla con il mio amato Camilleri, è destinata ad avere “la forma dell’acqua”.
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