POLITICA E "SIGNORINE BUONASERA"

Quasi non passa giorno che non ci arrivi la notizia di un suicidio. Piccoli imprenditori falliti per crediti non incassati o per la disperazione di dover mandare a casa i collaboratori di una vita, operai che hanno perso la casa, acquistata con tanti sacrifici, per piccoli debiti, gente che da troppo tempo cercava un lavoro, qualsiasi. Tanti casi, troppi, che prima facevano più clamore: titoloni sui giornali, interi servizi e interviste agli amici affranti in tv poi, caso dopo caso, trattati con meno enfasi, con sempre minore risalto, quasi una routine cui attendere per semplice dovere di cronaca. Nel frattempo la politica, i governi, il parlamento, sembrano assolvere ai loro stanchi rituali in un mondo del tutto virtuale fatto di salotti e tappeti, di assistenti parlamentari e riflettori in cui quello che par contare è l’annuncio, quanto più eclatante tanto meglio, attorniati da decine di microfoni e giornalisti. L’annuncio come espressione di una politica roboante e incoerente, per la quale forse sarebbe stato meglio eleggere in parlamento le indimenticate “signorine buonasera” di una oramai passata stagione tv , e di passato benessere italiano, certamente più efficaci in quest’arte e sicuramente più simpatiche.
D’altro canto, chi ha occasione di frequentare il mondo reale, quello di chi ogni mattina deve tenere in piedi un’attività, di chi deve arrivare fine mese con i soldi che non bastano più, quello di chi non ha questo problema perché i soldi proprio non li ha, imprenditore, professionista, impiegato, operaio o disoccupato che sia, chi ha occasione di frequentare questo mondo, vede e sente molto spesso la rassegnazione, i segnali di una sfiducia assoluta che si traduce in quelli che un lavoro ormai non lo cercano neanche più, quelli che pensano, o lo fanno, di abbandonare il Paese in cerca di nuova serenità, quelli che si chiudono in casa, inerti e inermi in attesa di chissà quale salvezza o salvifico salvatore; oppure, se più fortunati, coltivano il proprio egoistico orticello in attesa che la tempesta passi. Sembrano sempre meno le persone, le comunità, disposte a rimettersi in gioco, lottare per invertire la rotta e ciò, non tanto paradossalmente, non fa altro che aumentare l’ignavia e il pessimismo, in una perversa crescente spirale.
Eppure, se guardassimo indietro, ai nostri padri o i nostri nonni, potremmo ricordarci di un’altra Italia: quella che seppe venir fuori dagli immensi disastri della seconda guerra mondiale. Un’Italia che con il lavoro, con l’impegno, seppe trasformarsi nella patria del design, della meccanica, della moda, dell’artigianato d’eccellenza, del grande cinema e dei grandi artisti. Anche nel Paese che con i suoi uomini, De Gasperi, Spinelli, altri meno noti, contribuì alla nascita del sogno europeo che oggi rischia di fallire perché svenduto, anche da noi, alla finanza e alla speculazione. Era un’Italia, erano italiani che avevano coraggio e orgoglio, avevano il senso dell’appartenenza a una comunità che in altri secoli era stata capace di governare quasi il mondo intero. Era un’Italia capace di fare l’Italia, con inventiva e anche improvvisazione positiva. Ecco, forse non sono solo i soldi che oggi ci mancano. Forse ci mancano di più il coraggio, l’orgoglio, il senso di appartenenza e della comunità. Forse è questo che dobbiamo ritrovare e allora le “signorine buonasera”potrebbero tornare nel mondo dorato dei ricordi.

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