Per tanto tempo si è sostenuto che l’evoluzione tecnologica in architettura seguisse cicli troppo lungi e lenti, specie se rapportati a quelli verificabili in altri settori; l’esempio più classico e quello dell’auto: chi vede in tv le repliche dei film su Hercule Poirot, famoso investigatore dovuto alla penna di Agatha Christie, ambientati nei primi decenni del novecento, vede che davanti ad architetture moderne, razionaliste, per certi versi non molto dissimili da quelle delle nostre città, sostano e viaggiano auto dalla foggia più antica . A parti invertite è quello che si osserva oggi: auto ipertecnologiche, dalle linee accattivanti ed avveniristiche, si accompagnano, almeno dalle nostre parti, a edifici che giustappunto non sono dissimili, se non perché più brutti, da quelli che la sceneggiatura di quei film ci rappresenta. Appunto dalle nostre parti perché a ben vedere, fuori d’Italia ciò non è così da molto tempo. Segno che da noi, nel meridione in particolare, burocrazia, leggi sbagliate, malaffare politico e tanto altro hanno bloccato l’evoluzione tecnico-formale dei tessuti urbani e, in conseguenza, l’industria non ha avuto stimoli e convenienza ad investire in ricerca e innovazione.
Tuttavia, anche in tempo di crisi come questo, si nota qualche interessante segnale .
Il Mad’e di quest’anno, a Milano, ha visto la presentazione di molti nuovi componenti, grazie agli impegni assunti dal nostro Paese rispetto alla riduzione dei gas serra e alla sostenibilità ambientale ed energetica. Allo stesso modo molta innovazione si è potuta visionare rispetto alle tecnologie costruttive, ai materiali, alla building-automation (la cosiddetta domotica) segno che, crisi o non crisi, anzi forse grazie a questa, anche l’Italia, seppur in ritardo, ha capito che non ci potrà essere sviluppo senza innovazione di qualità e prodotto. E’ un modo diverso di pensare la vita, l’economia, gli affari, che troverà ancora delle resistenze ma che è facile prevedere vedrà soccombere coloro i quali rifiuteranno il nuovo stato preferendo rifugiarsi nel noto, nella consuetudine. Una sorta di selezione naturale garantita dall’evoluzione.
E quale possa essere il risultato di questa evoluzione, se è stato già analizzato da un’indagine Cresme per quanto riguarda gli operatori del mondo edile, ha una visualizzazione concreta in un esperimento condotto a Roma, dove è nata la prima casa “sensoriale”, una casa cioè che reagisce ai comandi mentali per cui non servono telecomandi e pulsanti per far funzionare i dispositivi tecnologici; una evoluzione estremizzata della domotica. Certo sui tratta di un esperimento, per il quale l’interfaccia operativa è costituita da una sorta di “cappello” dotato di elettrodi che analizza e trasmette il pensiero dell’operatore.
La cosa importante però è che il progetto nasce in Italia, presso il Dipartimento di ingegneria informatica della “Sapienza” a dimostrazione che l’intelligenza italiana è molto più forte degli ostacoli che un’insulsa e costosa gestione politica riesce a porre allo sviluppo e, se a prima vista può sembrare una cosa da scienziati, non utile alla vita di tutti i giorni, basta pensare alle implicazioni che potrà avere nella facilitazione alla quotidianità che, in prospettiva, potrà garantire alle persone non autosufficienti.