La notizia è singolare: il Maxxi, museo dell’arte contemporanea di Roma dovuto alla matita di Zaha Hadid, famosissima archistar anglo-irachena, ospita un progetto denominato «architects' BOOK», un database contenente foto, locandine, sequenze significative di 900 film di tutto il mondo che hanno come protagonista un architetto. Il progetto, curato da Giorgio Scianca, è «un viaggio nel tempo e nello spazio di una professione raccontata con grande generosità dal cinema».
Protagonisti John Wayne, Henry Fonda, Gary Cooper, Kirk Douglas e ancora John Cassavetes, Charles Bronson, De Niro, Warren Beatty; e tanti altri attori più o meno famosi protagonisti anche di 45 spezzoni tratti da trailer degli oltre 60 film usciti nel 2010/2011 che hanno come protagonista un architetto.
Certo un numero che non ha paragoni con i moltissimi film e telefilm che hanno come eroi medici e avvocati, o carabinieri e preti detectives; comunque una testimonianza di come questa professione, tra le più antiche del mondo, stia riconquistando l’immaginario collettivo seppur, almeno in Italia, non proprio opportunamente valorizzata dall’economia e dalla politica.
Però è comunque un segnale di nuova attenzione cui gli architetti italiani stanno dando un contributo significativo in tempi difficili come quelli che viviamo. Un contributo fattivo, fatto di proposte concrete verso il superamento di una crisi epocale. Per esempio l’ultima proposta fatta dagli architetti italiani, ufficializzata con una lettera al Presidente del Consiglio, spinge affinchè l’Italia si doti di un serio piano di rigenerazione urbana, con il crisma della sostenibilità ambientale, per affrontare il decadimento dei tessuti edilizi che caratterizza le nostre città.
Processo di rigenerazione che parte dalla consapevolezza che l’adeguamento dei tessuti urbani agli standard di sicurezza ed efficienza energetica, il rinnovamento delle reti tecnologiche e infrastrutturali, l’aggiornamento degli standard normativi e fiscali, la riqualificazione degli spazi pubblici costruiti e a verde, a consumo zero di nuovo territorio, può costituire una imperdibile occasione sia culturale che economica. Che però potrà essere condotta celermente e con successo solo partendo da una sostanziosa semplificazione normativo-burocratica e dallo sfruttamento delle capacità di sussidiarietà che la professione, le professioni, possono e vogliono offrire al Paese.
Per la verità questi sono concetti non nuovi; già nel congresso mondiale degli Architetti, svoltosi a Torino nel 2008, questa consapevolezza era presente nella comunità tecnica, confortata anche dall’esperienza di altri Paesi che questo percorso avevano e stanno sperimentando.
Le azioni si stanno svolgendo certamente a livello nazionale, ma anche le organizzazioni locali stanno facendo la loro parte. Per esempio le professioni e l’imprenditoria edile catanesi hanno elaborato, e prestissimo presenteranno, una proposta di riorganizzazione dello strumento di regolamentazione edilizia che vale per la città capoluogo ma è pensato, e offerto, per tutte le comunità della provincia.
Perché non è più il tempo dell’attesa, ma delle maniche rimboccate e dell’impegno, nel rispetto dei ruoli.
Magari alla fine ci rassegneremo a vedere sempre pochi film sugli architetti però spereremmo, finalmente, di vedere anche nelle nostre città più architettura.