Feng-shui e accesso alla professione

Ci siamo, la valigia è quasi pronta, pinne, fucile ed occhiali sono già nel bagagliaio, il mare è una tavola blù e voglio salutarvi, prima della pausa estiva, con un paio di amenità, o quasi.

La prima. Che le culture orientali siano particolarmente sensibili al benessere raggiunto attraverso l’equilibrio tra corpo, mente e ambiente è cosa nota; non per niente da quattromila anni in Cina la pratica del feng-shui regola il rapporto tra l’uomo e il contesto che lo circonda per favorirne il benessere psico-fisico, la salute, la fortuna. Solo che gli ultimi anni di enorme sviluppo edilizio, la crescita incontrollata, hanno messo in crisi questa pratica millenaria e allora le autorità di Hong Kong hanno istituito il principio del risarcimento da danno al feng-shui. Risarciscono cioè, con danaro o con opere compensative, quei villaggi o quei singoli cittadini che  hanno avuto il loro ambiente alterato dalla realizzazione di grattacieli, nuovi quartieri dalla foggia occidentale, e siccome tutto il mondo è paese, non stanno mancando gli episodi di abusi, malversazioni, illeciti arricchimenti. E quindi sorgono movimenti d’opinione e iniziative legislative per capire come il governo proceda a questi risarcimenti da “danno al feng-shui positivo”. Una questione che da noi avrebbe un aspetto surreale, visti i disastri che decenni di mancanza di qualità nello sviluppo urbano e di qualità dell’architettura, di assalti alla diligenza, hanno causato: se questi danni andassero risarciti l’Italia andrebbe in default; altro che Grecia o Irlanda.

La seconda. Dopo la battaglia sulle pretese “liberalizzazioni” della metà di Luglio, un tale senatore Lauro (nulla a che vedere con il famoso armatore napoletano anche se il nostro è un ricco imprenditore campano) per superare l’impasse ha avuto l’idea di proporre l’abolizione dell’art. 33 della Costituzione, che prevede il superamento dell’Esame di Stato per l’accesso alle professioni intellettuali: cioè dire che qualsiasi studente, una volta laureato, può accedere all’esercizio di una professione, (avvocato, medico, ingegnere…), naturalmente senza iscriversi ad alcun Albo professionale. Ora, visto lo stato in cui versa l’Università italiana, mi chiedo se in queste condizioni ove mai, e mi auguro di nò, il senatore avesse bisogno di un intervento chirurgico, andrebbe tranquillamente a farsi operare in un generico ospedale oppure farebbe eseguire le strutture portanti della sua casa (magari in zona sismica) da un tecnico che ha potuto sostenere gran parte degli esami attraverso un lavoro di gruppo. E comunque, visto che il suo nobile intendimento mi pare sia quello di liberalizzare l’economia, perché non proporre anche l’abolizione dell’art. 35 (sulla tutela del lavoro) o il 36 (sull’equità della retribuzione – a proposito per tutta una serie di lavori professionali è stato nei fatti già abolito da Bersani); magari anche il 41 (garanzie sull’utilità e sicurezza sociale del lavoro) e, dulcis in fundo, il 117 (tutela dell’ambiente).

In fondo tutti questi dispositivi  rappresentano un limite alla libertà d’impresa e alla concorrenza…

Ma forse il senatore Lauro è semplicemente un ammiratore di Tex Willer. Auspica per l’Italia un nuovo Far West dove Django era “la legge”: quella del pistolero più veloce, o del prepotente di turno.

Arrivederci, se vorrete, a settembre.

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