Abbiamo qualche volta parlato di smart cities -le città intelligenti- come pure dei problemi di crescita, economia, riqualificazione dei nostri spazi urbani. La notizia della prima piazza intelligente d’Italia, piazza San Carlo a Torino, offre lo spunto per tentar di mettere insieme, da un altro punto di vista, le questioni. A Torino, grazie ad una piattaforma tecnologica gestita in remoto, sarà possibile migliorare l’efficienza di alcuni servizi pubblici, illuminazione, videosorveglianza, wi-fi gratuito, il tutto senza lavori, scavi , fastidi per i cittadini, semplicemente utilizzando come bus per le connessioni la rete elettrica esistente. Non è l’unico esempio visto che esperimenti simili vengono condotti a Milano in via della Spiga cui si aggiungono i parcheggi per biciclette con punti di ricarica per quelle elettriche, ma anche in centri minori come a San Benedetto del Tronto.
Ciò mi riporta alla mente l’iniziativa “101 Idee per Catania” organizzata dagli ordini professionali alcuni mesi fa, nella quale gruppi di giovani architetti e ingegneri (a loro era riservata) hanno proposto interessanti progetti tra i quali, alcuni, riguardavano questa tipologia di interventi: dalle panchine telematiche con i supporti per il wi-fi gratuito ai chioschi (una delle più solide tradizioni della città) multimediali e multitasking. Così come altri, tutti caratterizzati da un elevato tasso di innovazione oltre che di un accattivante design, che non è roba da intellettuali ma esercizio inventivo utile al miglioramento generale della qualità della vita anche attraverso l’estetica oltre che nella funzione. Un tentativo di prefigurare una città del futuro, dove il concetto dei “servizi” resi agli abitanti si proietta e coniuga con le innovazioni che la tecnologia, presente e non futuribile, ci mette a disposizione. E quì entra in campo il problema dei soldi, degli investimenti necessari, che non bastano mai e non si possono fare vista l’attuale congiuntura economica, allentamento del patto di stabilità o no.
Allora penso ai forti investimenti pubblicitari di alcune aziende (telefonia mobile, reti energetiche e quant’altro) fatti per convincerci a comprare questo o quel prodotto, scegliere questa o quell’altra compagnia, offerte che, grazie alle liberalizzazioni, spesso diventano una torre di babele nella quale non è facile districarsi. Comunque sia, queste grandi aziende spendono sui media in genere, cifre elevatissime che ovviamente spesano nei bilanci e, in conseguenza, sull’imponibile fiscale. Ora, immaginiamo per un momento che queste aziende potessero offrire alle città investimenti come quelli all’inizio raccontati a costo zero e, a fronte di ciò, ottenerne una detraibilità fiscale un po’ più alta del normale. Si perché, oltre a diminuire la necessità di investimenti pubblici per realizzare i servizi (utili anche questi all’attrattività del sistema urbano) e l’annullamento delle pastoie burocratiche per metterli in campo, aumenterebbero significativamente la qualità della vita e la sua efficienza. Che significa, lo dicono insigni economisti, l’aumento del famigerato PIL attraverso il miglioramento delle condizioni favorevoli al suo sviluppo e, in conseguenza, l’aumento delle entrate fiscali dello Stato senza incrementarne la pressione. Idee in fondo semplici, per metter in campo le quali occorre solo un pizzico di coraggio e inventiva. Quella del progettista.