Da trent’anni si parla di riforma delle professioni. L’unica fatta finora è quella di Bersani nel 2006. Proviamo, a distanza di quattr’anni, a fare un bilancio dei suoi effetti.
L’abolizione dei minimi tariffari: avrebbe dovuto rispondere a una direttiva europea e migliorare l’accesso al lavoro per i giovani. Ebbene questa direttiva forse non esiste visto che la Germania, recentemente, ha riconfermato le tariffe professionali e non risulta che sia stata avviata una procedura d’infrazione; quanto alle maggiori possibilità per i giovani professionisti, non solo queste non si sono verificate ma essi sono diventati molto più deboli nei confronti della committenza specie quella pubblica, costretti a svendere il proprio lavoro.
La possibilità di far pubblicità: in sé norma giusta, però di nessun impatto e per il miglioramento dell’esercizio professionale e per l’informazione alla clientela, visto che i costi che sconta la rendono disponibile solo a pochissimi soggetti.
Le società professionali: anche questa “riforma giusta” che servirebbe a essere più competitivi sul mercato, peccato però che l’unica sostanziale competizione è rappresentata dall’abbattimento –annullamento del compenso, almeno e non solo nel mondo dell’ingegneria e dell’architettura .
Tutto questo vi (ri)racconto perché mi capita tra le mani una nota tratta dal “portale del maggior partito di opposizione” che illustra la nuova(?) proposta del PD volta a proteggere i professionisti dallo “schiaffo” alle nuove generazioni che sarebbe rappresentato dalla proposta Alfano.
La cito in sintesi: raccordo con l’università, abolizione del numero chiuso negli Albi, tirocinio retribuito, riconoscimento delle associazioni per le professioni non regolamentate. Tutto questo equiparando le professioni intellettuali al settore dei servizi al fine del “riconoscimento delle misure (comunitarie e nazionali) di sostegno economico per lo sviluppo dell’occupazione e degli investimenti con particolare riferimento ai giovani”.
Mi chiedo con quale università raccordarci e con quali finalità, atteso che l’inserimento del 3+2 ha portato all’esplosione del numero dei corsi universitari, dei costi, nonchè alla squalificazione dei titoli di studio oltre che dei professionisti immessi nel mercato. Quale numero chiuso si dovrebbe abolire visto che l’unico che resiste riguarda i collegi notarili che le “lenzuolate” si son ben guardate dal toccare. Quale tirocinio si dovrebbe retribuire se una gran parte di professionisti (specie nell’area tecnica) non riesce quasi più retribuire se stessa. Quanto al riconoscimento delle associazioni, è uno dei punti più contrastati dal sistema ordinistico, perché non si possono equiparare mestieri legittimi, che però nascono e muoiono in dipendenza dell’evoluzione del mercato e degli sviluppi tecnologici, a professioni che riguardano materie di rilevanza costituzionale.
Per quanto riguarda l’accesso alle contribuzioni statali e comunitarie, basta l’esempio del settore tecnico dove prima si è distrutto il mercato poi si promette lo zuccherino della “possibilità” di contributi. Una mancia, uno specchietto per allodole, a quasi esclusivo vantaggio delle assunzioni in grandi strutture così come avviene nel mondo delle imprese. Tutti dipendenti tutti.
E per fortuna che si tratta di ipotesi a difesa delle professioni: chissà cosa sarebbe l’attacco!