Il problema è grave: a tal punto che il Corriere della Sera gli stà dedicando più d’un articolo e un deputato, Lo Presti, ne ha fatto una proposta di Legge.
Voglio dire che, com’era facile immaginare senza essere esperti attuari -lo abbiamo già ampiamente anticipato- il sistema previdenziale delle professioni non sarà in grado di erogare pensioni dignitose alle prossime generazioni: si stima che il professionista che oggi si affaccia sul mercato riceverà, a fine carriera, intorno al 25% del reddito considerato, in genere basato su una media dei redditi dichiarati in un certo periodo. Solo che oggi, per quei giovani fortunati che riescono a entrare nel mercato delle professioni, il reddito medio oscilla intorno a 1000-1200 Euro mensili, se non fanno i Co.Co.Pro., perché allora la cifra può scendere sensibilmente.
La previsione era facile perchè nel tempo i vari Governi hanno favorito la crescita abnorme del numero dei professionisti che ogni anno viene immesso sul mercato, attraverso l’allentamento della selezione di merito prima tipica della formazione universitaria, creando nuove figure professionali ibride e con percorsi formativi diciamo un po’ più alleggeriti, poi disarticolando il sistema delle competenze specifiche. Hanno omesso di varare quella riforma delle professioni intellettuali che si attende da un ventennio, salvo poi, nel 2006, introdurre la famosa lenzuolata che nelle professioni tecniche, e non solo, ha creato più che gravi effetti distorsivi del mercato e della concorrenza.
Nelle grandi città esistono già gli architetti virtuali e gli avvocati su strada, (a quando i dentisti nei saloni da barbiere?) -una consulenza al costo di una pizza- modi fantasiosi per sbarcare il lunario che magari piaceranno a qualche liberista estremo, ma che non sono compatibili con la ricerca e gli approfondimenti tipici delle prestazioni libero-professionali.
La crisi economica è solo una delle concause dello stato di disagio delle professioni, lo appesantisce di più. Un mondo che meriterebbe un po’ più d’attenzione e rispetto visto che genera(va) un volume d’affari complessivo di quasi duecento miliardi di Euro quindi tra il 14 ed il 15 % del PIL nazionale (dati Cresme) senza aver diritto e accesso alle agevolazioni e sostegni che hanno le Imprese, e riguarda, tra professionisti e dipendenti, circa quattro milioni di persone, di più se consideriamo anche le loro famiglie.
Che allo stato, e per lo Stato, negli ultimi anni hanno rappresentato una collettività da insolentire, da vessare, da minacciare di estinzione programmata, da presentare alla pubblica opinione come una classe di privilegiati dallo scarso impegno e dai lauti guadagni.
I rimedi a questa situazione non possono che essere strutturali e nessuno degli organismi statali e di categoria può sottrarsi dal dare un contributo: i professionisti confermando il loro impegno verso una prestazione seria ed etica, l’università ricreando percorsi formativi degni di questo nome e legati alle reali attività che gli studenti poi svolgeranno nella vita, le rappresentanze professionali essendo un po’ più attente a fare sistema; anche le Casse di Previdenza, che non possono più essere semplici contabili che decidono il balzello; il mondo politico… beh, onestamente non sò cosa dire al mondo politico: appare troppo impegnato nei war-games istituzionali per occuparsi del Paese, figuriamoci delle “privilegiate” professioni.