Le politiche europee e, in conseguenza anche quelle italiane, sono rivolte a promuovere l’efficienza e la sostenibilità energetica. Poiché una delle più importanti voci del bilancio energetico è quella relativa al consumo residenziale, su questo bisogna intervenire per ridurre il consumo di combustibili fossili e quindi la produzione di CO2, causa di quell’effetto serra che, in qualche modo, influenza le condizioni di vivibilità del pianeta.
Le azioni con le quali è possibile intervenire per raggiungere questi obiettivi sono a mio avviso essenzialmente due: la prima è quella di costruire riducendo, attraverso una progettazione consapevole, il fabbisogno energetico degli edifici, la seconda è quella di fa sì che l’energia necessaria agli edifici sia prodotta in maniera pulita.
Abbiamo già affrontato il tema delle centrali solari o eoliche estese che, seppur poco inquinanti, hanno un impatto sul paesaggio altrettanto problematico, almeno dal punto di vista estetico.
Quindi, visto che il nucleare -a reazione o fusione fredda- almeno per l’Italia, è argomento rinviato ai prossimi decenni, possiamo intanto agire proprio sugli edifici, rendendoli il più possibile autosufficienti.
L’industria ed il mercato stanno facendo molti progressi su questo fronte, specie per quanto riguarda l’integrazione dell’energia solare fotovoltaica in architettura.
Esistono già pannelli, moduli, intonachi, che possono essere utilizzati a questo scopo, che possono essere tanto più efficienti quanto più consapevolmente e sistemicamente usati.
Si, perché l’uso di sistemi fotovoltaici sugli edifici, se escludiamo il caso dei pannelli brutalmente posati sui tetti delle costruzioni, sconta alcune difficoltà tecniche che possono penalizzarne l’uso in termini di efficienza.
Ciò costituisce a mio avviso, più che un problema, una opportunità verso una nuova qualità degli edifici che è tecnica, ma anche formale. Ancora oggi infatti la stragrande maggioranza degli edifici viene progettata e costruita come si faceva diversi decenni fa , se non peggio.
Esser “costretti” a garantire l’efficienza delle costruzioni ed anche la loro qualità estetica è un’occasione per immaginare un diverso futuro delle nostre città attraverso la sperimentazione tecnico-estetica del progetto.
Occorre quindi uno sforzo consapevole che è compito sia dei progettisti e delle imprese, come pure dei committenti, ma lo è anche per il sistema normativo-burocratico.
Se vi sono, da questo punto di vista, dei segnali d’attenzione (per esempio la Regione Siciliana ha legiferato già nel 2005 su questi aspetti) essi sono ancora largamente insufficienti.
Occorre che sia riportato al centro del sistema il progetto quale atto fondativo delle trasformazioni del territorio, con un’attenzione spostata più verso il piano qualitativo. Occorre abbinare seri incentivi a seri obblighi che, come conseguenza logica, portano a una maggiore criticità verso i dispositivi conservativi del tessuto esistente, gran parte di scarsa o nulla qualità, che privilegino con misura e responsabilità una sostituzione di quanto, malamente, edificato nella seconda metà del novecento. In fondo, se l’obiettivo è quello di dare risposte al fabbisogno abitativo senza consumo di nuovo suolo, perché non prevedere stabili incentivi che, a parità di consumo, consentano maggiori volumetrie?