La Legge (non) è uguale per tutti

La Legge è uguale per tutti! Questo principio basilare nel rapporto tra diritti e doveri nelle società democratiche, in Italia, se forse è applicato nelle Aule dei Tribunali -dobbiamo credere fermamente sia così- non lo è sicuramente in altri settori.

Né è un esempio la percezione della libertà di stampa, dove cronaca recente dimostra che se a determinati mass-media è consentito un certo tipo di inchieste, se lo fanno altri diventa oggetto di censura; determinati comportamenti privati considerati, anche dal sistema mediatico, piccole debolezze o grandi colpe a seconda di chi sia il soggetto che li attua.

Esiste questa disparità anche nel mondo dell’economia e del mercato e quindi, forse soprattutto, nel mondo delle libere professioni.

Dall’ultimo Governo di centro-sinistra in poi è stata attuato con rigore, anche sopra le righe e sicuramente con un’interpretazione disinvolta delle regole europee, un attacco al mondo della professione, per esempio e non solo, con l’eliminazione dei “minimi” tariffari, con la scusa di un malinteso principio liberalizzatore. I guai specifici e generali che ciò ha portato ho già avuto modo di illustrarvi, specie nel settore dei servizi per l’ingegneria e l’architettura.

Voi direte, và bè, è per tutti  e quindi mal comune mezzo gaudio, utilizzando una di quelle frasi fatte che il Montalbano camilleriano così tanto detesta. Il guaio è che, oltre ad essere una frase fatta, essa non corrisponde al vero: pochi giorni fà infatti il Ministro di Giustizia ha emanato, con suo provvedimento, le nuove tariffe per i dottori commercialisti ed  esperti contabili; tariffe non rigide ma ricomprese in una forbice di discrezionalità per le trattative tra professionista e cliente. Con questo credo si possa dire che lo Stato ha riconosciuto, nello stabilire un minimo ed un massimo dei compensi, la salvaguardia di due interessi paralleli, quello della tutela dello svolgimento di un’attività che rappresenta per una parte un interesse generale (la regolarità degli adempimenti fiscali) e quello specifico del cittadino/consumatore ad essere protetto rispetto a speculazioni e garantito nei propri diritti fondamentali sulle regole di svolgimento di un servizio, entro parametri certi e comunque misurabili. Quindi, in sé, il riconoscimento del fine pubblico ed anche etico di una libera prestazione che ha refluenze collettive, in questo caso sul bilancio statale. Siamo ovviamente e sinceramente contenti per gli amici commercialisti ed esperti contabili che vedono così riconosciuto il loro importante ruolo.

Mi chiedo perché questo riconoscimento, che peraltro non è discrezionalità del Governo Italiano essendo già da tempo consolidato nelle regole europee, non sia avvenuto, non avvenga -anzi è palesemente osteggiato-  per architetti ed ingegneri che come e più di altri settori, per diversi motivi, hanno pagato e stanno pagando costi altissimi in termini di reddito ed occupazione a causa della crisi e tanti altri errori ( ma forse sono volontà precise) strutturali.

Mi chiedo quale fine pubblico possa essere perseguito con la distruzione- di questo si tratta- di una capacità progettuale e di buon governo di un territorio delicato come quello italiano, che ci ha portato ad essere oramai la cenerentola non solo d’Europa.

Dov’è in questo caso la famosa uguaglianza tra i cittadini, o forse che architetti e ingegneri sono meno cittadini degli altri?

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