Se la montagna non và a Maometto, Maometto và alla montagna; con questo detto possiamo rappresentare quello che la scorsa settimana è avvenuto a Catania attraverso il workshop “Intersection”, attività progettual-culturale voluta dagli Architetti catanesi. Le cronache hanno raccontato di decine di professionisti, giovani, meno giovani, tutor, grandi firme, uniti in un ideale atelier internazionale, che per circa una settimana hanno sperimentato come, attraverso il progetto, sia possibile sfruttare al meglio l’occasione della realizzazione della linea metropolitana per creare ambienti urbani di qualità. Sette occasioni, tante le aree studiate quante sono le stazioni metro previste, che gli architetti hanno voluto indagare per prospettare soluzioni ad una delle più importanti, almeno nelle potenzialità, città del meridione d’Italia.
Se la città non và verso l’architettura questa, con un atto di generosità e responsabilità, và verso la città offrendo impegno, cultura, occasioni.
Si tratta di riallacciare un dialogo, sempre debole, ma del tutto interrotto da un ventennio circa con la scusa delle norme, della cronica mancanze di risorse, delle emergenze. In realtà interrotto perché per una società ipervincolista, mercantilistica, approssimativa, fatta da furbi per furbi se non peggio, l’architettura è scomoda: perché costringe a pensare, a confrontarsi, scontrarsi se necessario, con il fine di migliorare le condizioni di vita e dell’ambiente.
Se ci pensiamo bene “Intersection” è solo l’ultimo atto, ma non sarà certamente l’ultimo, di un processo di riappropriazione della specificità del progetto rispetto alla trasformazione urbana. Riappropriazione, faticosa, che ha conosciuto e conosce momenti di esaltazione accanto a momenti di delusione.
Come non ripensare, solo nell’ultimo anno, alle varie occasioni rappresentate dai contributi che gli Ordini Professionali, l’Associazione dei Costruttori, i Sindacati di categoria, hanno offerto all’Amministrazione e alla Politica in tema di rinnovo dello strumento urbanistico, del Regolamento Edilizio, del Piano Casa. Contributi di alto spessore scientifico e di semplice immediata o quasi attuazione, che tanto avrebbero potuto fare per risollevare le sorti urbanistiche ed economiche di questa Città, definita in tempi recenti un malato terminale.
Contributi, inevitabilmente e forse anche malgrado qualche onesto buon proposito, sminuiti dalle limitatezze di un sistema politico-(non)decisionale difficile da eradicare.
Sarebbe legittimo arrendersi, dire basta; è forse quello che a qualcuno farebbe piacere, ma è quello che credo, spero, non avverrà.
Perché non si può comprimere un bisogno naturale come la ricerca del bello, come il desiderio di essere utili attraverso il proprio lavoro che forse è più missione, anche se alcune tendenze vorrebbero trasformarlo in un mercato da bancarella.
E quindi aspettatevi altre occasioni, altre denunce, altri progetti da parte di architetti-quasi missionari, perché non possiamo rinunciare al dovere di riscattare la città del Vaccarini, del Sada, del Fichera, la città che si stratifica su se stessa e sempre si rinnova oltre le calamità che periodicamente l’hanno distrutta, per farla ridiventare il gioiello del Mediterraneo, unica nella sua specificità, che abbiamo ereditato e che dobbiamo tramandare, sempre nuova, ai nostri figli.