Le città italiane, negli anni del boom economico, hanno pensato di risolvere l’emergenza abitativa costruendo grossi insediamenti di case popolari o convenzionate su modelli di edilizia industrializzata; era il mito della prefabbricazione e della ripetitività edilizia, anche mutuato dall’edilizia del socialismo reale, legato alla logica del risparmio dei grandi numeri che però a portato, nel caso italiano, alla nascita di veri e propri ghetti di degrado urbanistico e sociale.
Degrado che il tempo e l’usura hanno aggravato. E’ il caso di Scampia a Napoli, dello Zen a Palermo, è il caso di Librino a Catania e di tante altre realtà. E’ anche il caso del quartiere Giusto di Tor Bella Monaca a Roma.
Quest’estate i principali giornali italiani si sono interessati a quest’ultimo perché Alemanno ha proposto, anzi ha annunciato, l’intenzione dell’Amministrazione capitolina di volerlo demolire per sostituirlo con un diverso modello abitativo dove spostarne, senza delocalizzarli, gli abitanti.
Come al solito non sono mancate le polemiche, le bocciature a priori, i soliti fautori dell’ “ma invece…”.
Come se esistesse un’alternativa alla sostituzione di case in cui piove dentro, in cui il degrado fisico coincide, né potrebbe essere altrimenti, con la generazione del degrado e disagio sociale.
Quante volte da queste pagine abbiamo auspicato una politica della sostituzione edilizia, quante volte l’abbiamo motivata con ragioni economiche, politiche, sociali.
Non posso che augurarmi quindi che le intenzioni di Alemanno non restino solo “pie” ma possano trovare una soluzione concreta, magari affidata ad una grande firma come quella annunciata oppure , meglio ancora, tirata fuori dal concetto di urbanistica partecipata che renda la cittadinanza elemento attivo in questo processo di riqualificazione e non passivo sulla cui testa prendere decisioni autoritative. Gli esempi di come ciò si possa fare non mancano, anche in Italia.
Essendo consapevoli che nel nostro Paese, negli ultimi cinquant’anni, si è costruito più che nei precedenti tremila, con un tasso di qualità e consapevolezza sempre di più tendente a zero.
E quindi ben vengano una, dieci, cento operazioni Tor Bella Monaca, innescando quel processo di riqualificazione urbana che ha la sua ragione d’essere proprio se parte dai tessuti deboli delle città.
Perché è’ indubbio e dimostrato che luoghi sordidi favoriscono il nascere di comportamenti analoghi, che l’assenza di decoro favorisce il ricorso a una vita di espedienti e un’abitudine all’illegalità. E allora, immaginare di operare per modificare questo sub-strato fangoso non può che essere in sé opera meritoria.
Certo, c’è il rischio di ripetere modelli negativi fatti di approssimazione, di clientelismo, di affarismo -la cronaca ce ne mostra esempi ogni giorno- ma l’alternativa non può essere quella del non fare.
Al contrario abbiamo urgente necessità di fare, partendo anche da un recupero dei valori della professione, soprattutto etici, che portano in sé l’assunzione di responsabilità da parte della Politica rispetto a scelte scellerate, fatte in nome del cosiddetto mercato, che mercato non hanno creato se non nel senso di quello del Vangelo secondo Matteo dei “mercanti nel tempio”. Ciascuno, secondo le proprie responsabilità, ha il compito di cacciarli questi mercanti. Ne abbiamo bisogno.