Interessi generali ed egoismo

Oggi parlo di noi, dei liberi professionisti -architetti e ingegneri- colpevoli, secondo un sentire trasversale all’intera classe politica, della scarsa competitività dell’Italia, per il quale sono state emanate numerose leggi volte, per così dire, a tagliare le unghie a oltre trecentomila lavoratori della conoscenza: dall’abolizione delle tariffe alla possibilità di far eseguire le prestazioni professionali per le opere pubbliche all’interno degli Uffici pubblici, i cosiddetti affidamenti in-house. Che poi la stessa Antitrust, solitamente non amichevole verso la libera professione, abbia più volte giudicato negativamente queste procedure, alla “politica” nulla è sinora importato.
Un esempio, tra i tanti, c’è lo danno i recenti finanziamenti concessi ai comuni della Sicilia per la messa in sicurezza delle scuole, comprensivi delle somme per pagare le attività tecnico-professionali necessarie: piccole occasioni ma che, in tempi di grave crisi come questi, potevano rappresentare una minima quantità di ossigeno per un settore in conclamata crisi, i cui effetti sono destinati ad avere pesantissime ripercussioni per molti anni. Piccole occasioni, vanificate dal fatto che le Amministrazioni -57 su 58 Comuni della nostra Provincia per quanto si conosce- hanno preferito affidare queste occasioni a propri funzionari, se non direttamente alla gestione personale dei Presidi. Il sistema è questo: i funzionari pubblici che assumono questi incarichi, oltre allo stipendio normale ricevono un emolumento pari al 2 % del valore dell’opera progettata. Si dice, così si risparmia. E’vero? Vediamo un po’.
Essi svolgono di solito mansioni di controllo e programmazione sui temi urbanistici e dei lavori pubblici, devono dare risposte alle istanze dei cittadini, hanno in sostanza una serie di compiti la cui efficienza incide sull’effettuazione di investimenti da parte dei privati e delle imprese. Poi, per eseguire attività normalmente di competenza dei professionisti privati, c’è bisogno di strutture, attrezzature, tempo e, nel caso degli affidamenti in-house, queste fornisce la P.A. cioè dire noi tutti attraverso le esose tasse che paghiamo. Non vi è molto da dire circa l’efficienza delle risposte della P.A.: esse viaggiano con tempi usualmente biblici e, per chi ha conoscenza dello stato degli uffici pubblici, risulta incomprensibile capire, senza le strumentazioni adeguate, a volte senza i luoghi fisici dove svolgere queste prestazioni, come facciano i funzionari incaricati a eseguire i compiti loro affidati. Quanto al risparmio che ne conseguirebbe bastano poche considerazioni: se il costo di una prestazione resa da privati oggi vale mediamente il 7-8%, esso comprende tutti i costi collaterali per le attrezzature, gli spostamenti, il tempo necessario a eseguirle e, grosso modo, questi incidono per 50-60 % dell’intero onorario; quindi la prestazione netta ha un valore del 3 % cui sottrarre tasse e contribuzioni non proprio leggere. Se invece al 2 % dato ai funzionari si sommano gli stessi costi, che ci sono solo non sono immediatamente percepibili, oltre che la parte di stipendio fissa relativa al tempo impiegato, la prestazione resa a se stessa dalla P.A. costa secondo me di più rispetto a quella dei professionisti privati, anche perché il tempo dedicato a questi servizi viene sottratto alle risposte che questa deve alla società. E allora: a chi giova tutto questo? A voi la risposta.

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