Negli scaffali a destra modelli di case con design portoghese, di fronte trovate disegni di villette a dimensione assortita in puro stile decostruttivista, a destra vicino ai surgelati progetti di edifici a schiera di gusto un po’ rustico in offerta speciale fino al 30 marzo… Oppure nelle strade della moda tra Roma e Milano, le boutique delle grandi firme dove trovare, con un piccolo sconto a seconda della stagione, una piscina disegnata da Fuksas o una casa per il mare disegnata da Italo Rota… magari a fianco di una serie di borse Prada.
Questo lo scenario, per fortuna futuribile, che si può immaginare senza neanche troppa fantasia sviluppando per iperbole i concetti con cui l’Antitrust ha chiuso due anni di indagine sul sistema delle professioni in Italia, applicati al mondo che interessa questa rubrica.
Un’architettura fatta merce e i progettisti fatti mercanti che producono beni seriali, standardizzati, concorrenziali e (?) trasparenti nei costi, dove il prezzo è il dato principale offerto al “mercato libero”. Tutto questo secondo un preteso ossequio a direttive europee, magari italianamente interpretate da personaggi d’incontestato spessore scientifico, che nella loro vita professionale, dall’alto dei loro remuneratissimi incarichi pubblici, con questo mercato e con i problemi della professione, quotidianamente esercitata, mai si sono confrontati. Dicevo delle direttive europee, emesse in un momento nel quale il mercato liberissimo rappresentava l’ordine mondiale e la panacea per tutti i mali, salvo a dimostrarsi, non più di qualche mese fa, capace di realizzare disastri economici planetari di cui tante famiglie in tutto il mondo subiscono gli effetti, e per i quali i governanti del pianeta cercano oggi un nuovo sistema di regole e limiti secondo una ritrovata, speriamo, etica dell’uomo, da privilegiarsi rispetto al mercatismo.
Per non dire delle contraddizioni dell’Europa di cui l’Antitrust, in questa vicenda, si elegge a paladina: avete presente le quote latte? L’Europa costringe con pesanti ammende i produttori a limitare la loro produzione per mantenere i prezzi su di un certo livello e garantire un equilibrato smaltimento della produzione delle aziende.
Allora mi chiedo dov’è la coerenza, per la quale in Italia, dove esiste un numero parossistico di produttori d’architettura a fronte di un mercato asfittico, questo numero si fa crescere senza controllo e limiti (e forse è giusto) e contemporaneamente si raccomanda un regime di concorrenza al massimo ribasso tra poveri, quali stanno diventando (sono ottimista) i professionisti tecnici in Italia in confronto ai colleghi europei.
E che cos’è questo se non il fallimento del mercato che la stessa Antitrust considera nel suo documento e del quale non tiene conto nelle sue raccomandazioni?
Per fortuna, almeno a giudicare dai cinque disegni di legge depositati in Parlamento sulla riforma delle professioni, la parte più estremizzante delle raccomandazioni (penso molto costose per noi contribuenti) dell’antitrust, non ha trovato grande adesione da parte del mondo politico.
Quattro delle cinque proposte, fatte dai deputati più esperti della materia, contengono interessanti innovazioni, per altro già in parte accettate, in parte auspicate, dagli Ordini professionali, proposte pressoché sovrapponibili almeno sui temi più importanti, che comunque più o meno tengono conto dell’unicità e della specificità etica e culturale della professione libera.