L’articolo della scorsa settimana, dove accennavo alla rivoluzione industriale e alla divisione del lavoro, mi ha riportato al famoso film di Lang (Metropolis del 1927) nel quale il regista immaginava la società nel 2026, con un’esasperata divisone sociale tra i padroni dell’economia e i lavoratori, condannati a produrre in condizioni disumane e in ambienti oppressivi, quasi dei lavori forzati. Una iperbole cui in alcune nazioni- vedi per esempio alcuni Paesi emergenti e in qualche caso emersi- ci si è molto avvicinati. Tuttavia, anche in Paesi evoluti e sviluppati tra i quali il nostro, si verifica la condizione che una parte maggioritaria dei lavoratori si dichiara insoddisfatta del proprio lavoro, con conseguente assenteismo e scarsa produttività, e ciò dipende anche dalla scarsa piacevolezza del luogo in cui devono produrre. Con un sistema che tende al collasso, come ipotizzato da Lang.
Alcune ricerche dimostrano, al contrario, che nelle aziende che hanno investito nella qualità dei siti produttivi, il lunedì non è un giorno deprimente, si lavora di più, meglio e con meno fatica, insomma la produttività aumenta. La qualità funzionale, estetica e spaziale dei luoghi di lavoro cioè, oltre a renderli più salubri, aumenta la serenità e la produttività dei dipendenti costituendo uno dei principali benefit immateriali e relazionali che, in un mondo sempre più competitivo e in preda ad un’epocale crisi economica, costituisce un fattore determinante nello sviluppo dell’azienda stessa. Tanto che alcune delle aziende più innovative e di successo si sono dotate della figura dell’happy manager, con il compito di occuparsi di incidere sul rapporto tra il valore della produzione e il valore della felicità che, tradotto in termini globali, incide sul PIL (prodotto interno lordo) attraverso il PIF ( prodotto interno felicità). Alcune organizzazioni di categoria hanno indagato questo rapporto analizzandolo, con risultati significativi, attraverso lo studio di alcuni casi, individuando nel benessere generale del personale un valore portante dell’azienda. Si tratta di casi non isolati e anche non recenti, basta andare con la memoria ai siti produttivi di Adriano Olivetti per finire a più recenti realizzazioni. Un investimento che riesce a incidere, attraverso la qualità architettonica dei luoghi di lavoro, anche sull’immagine complessiva dell’azienda e sul valore del brand che si trasferisce sul valore del prodotto.
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Trasferiamo questo ragionamento a scala più grande: tra città più produttive del mondo vi sono quelle che più hanno investito nella qualità urbana globale. Spazi pubblici, edifici, servizi alla persona di qualità, le hanno trasformate in luoghi appetibili, dove è piacevole vivere e quindi produrre, luoghi attrattivi per le persone e gli investimenti anche in presenza, spesso, di condizioni climatico-ambientali difficili. La qualità dello spazio, dell’architettura globalmente intesa, come fattore determinante per la produzione di benessere. E allora, come non pensare alla Sicilia, una terra baciata dalla natura, dalla storia, dal clima, uno dei luoghi più belli del mondo diffusamente violentato dal pressapochismo e dal disinteresse. Cosa potrebbe essere se, per miracolo, si avviasse una poderosa opera di riparazione in qualità delle città, dei siti produttivi, anche grazie all’enorme potenziale di intelligenza progettuale già disponibile? La risposta mi pare ovvia.