Dal 1942 i piani regolatori generali rappresentano gli strumenti direttori del controllo e governo delle dinamiche urbane. Sono cioè quegli strumenti attraverso i quali una società concerta un progetto di sviluppo economico, sociale, organizzativo e logistico che governerà e contempererà l’equilibrio territoriale con i diversi fattori che concorrono alla formazione di un ciclo economico, culturale, sociale. Sono stati pensati quindi quali strumenti di programmazione rivolti al futuro con un orizzonte temporale stabilito in dieci anni, dopo il quale si dovrebbero controllare i risultati ottenuti e rimodulare le strategie in funzione delle ovviamente mutate esigenze e contingenze.
L’esperienza di tutto il dopoguerra ha dimostrato che, spesso, l’iter necessario alla definizione di questi strumenti ha superato ampiamente il tempo previsto per la loro attuazione, consegnando quindi alla collettività dei modelli organizzativi certamente superati dal tempo e dagli accadimenti.
A maggior ragione se pensiamo alla velocità con la quale, nei nostri giorni, mutano e si stravolgono gli scenari della vita quotidiana a qualsiasi scala, sia locale che planetaria. Certamente lo scenario macro economico, il problema delle dinamiche d’immigrazione dai paesi terzi verso il mondo occidentale, la velocità del trasferimento delle informazioni, la sensibilità e le conoscenze verso il tema ambientale, visti con l’ottica di dieci anni fa, ci appaiono giurassici.
Eppure in tante realtà, così come Catania, si discutono e sono ancora in corso di studio ed approfondimento, strumenti di pianificazione le cui linee guida, gli indirizzi strategici, prefissati dieci ed anche più anni fa, sono stati definiti.
Ecco che allora appare indispensabile, in prima battuta, ripensare alle leggi che presiedono al governo del territorio in un ottica adatta al tumultuoso variare delle condizioni; ancora di più in tempi, come questi che viviamo, di crisi planetaria che è sì economica ma anche crisi di società, che devono ritrovare un nuovo modello di convivenza e di equilibrio, magari un po’ più solidale.
Appare quindi, ad un’analisi superficiale, anacronistico pensare a nuovi sviluppi urbani con il prezzo delle case che crolla. Se non che, e qui penso abbiano ragione gli economisti, il mercato libero ha in se stesso gli strumenti di autoregolamentazione e di riequilibrio, purchè si guardi al futuro con fiducia ed ottimismo, sapendo cogliere dagli scenari di crisi il germe di un nuovo sviluppo basato sull’adattamento positivo dei suoi modelli.
Lo sviluppo urbano, ed in particolare la creazione e trasformazione del prodotto edilizio, potrà creare ancora ricchezza, non solo monetaria, nel momento in cui si concentrerà sul soddisfacimento di bisogni più alti. Se penserà a creare quartieri, case, ambienti urbani più sostenibili nei quali, oltre al bisogno materiale di un tetto ed in parte all’aspettativa di proteggere risorse e capitali, sia contemplato il bisogno del bello etico e dell’innovazione, che sono elementi connaturati all’uomo in quanto essere pensante e dotato di una propria sensibilità emozionale.
Lo potrà meglio fare se si inquadrerà in uno scenario legato alle caratteristiche peculiari del luogo, ponendosi in concorrenza secondo i modelli del marketing urbano. E’ quello che già avviene in molte parti del mondo ed anche in Italia, dove però questo germe positivo fatica ancora un po’ ad affermarsi.