Proprio qualche minuto prima che mi accingessi a questa nostra conversazione settimanale, l’Ing. Carlo DeBenedetti, noto tycoon italiano, veniva intervistato dal TG Uno in merito ad un suo libro sulle azioni da compiersi per far ripartire l’Italia. Sostiene DeBenedetti, e non credo abbia torto, che l’Italia può ripartire a condizione di aver chiara l’immagine di se nel futuro prossimo e capitalizzi le risorse disponibili sulle cose che sappiamo fare meglio degli altri e che, in fondo, tutto il mondo ci invidia: il nostro lifestyle, il nostro design , il nostro paesaggio naturale e storico, i nostri architetti.
I nostri architetti, dico meglio, la nostra architettura.
Succede che per secoli interi l’architettura italiana è stata il faro, la pietra di paragone per l’intero mondo. Poi abbiamo scoperto prima la speculazione, poi l’eccessivo rigorismo e l’ambientalismo di maniera , dopo ancora è venuto il mercato, le regole pseudo-europee, le cosiddette “manipulite” e tante altre belle cose. Naturalmente all’italiana. Ecco allora che i feticci della trasparenza e del mercato, invece che creare l’humus della legalità, dello sviluppo, della ricerca e dell’evoluzione della via italiana all’architettura, hanno creato architetti, progettisti – impresa, dove ha contato e conta, per poter lavorare a certi livelli, oltre che il padrinato politico, il volume d’affari, il massimo ribasso, l’aver fatto molti lavori.
Ciò ha significato riservare il mercato a pochi soggetti forti; altro che libero mercato e trasparenza. L’affannoso, ed a volte maldestro, inseguimento delle direttive comunitarie, che hanno portato ad ennesime edizioni della stessa Legge sui lavori pubblici, ha trasformato quelle che erano attività di ricerca culturale ed intellettuale in semplici forniture di servizi. Oggi non vi è alcuna sostanziale differenza nel concorrere all’affidamento di un progetto piuttosto che all’appalto dei servizi di pulizia di un ospedale.
C’è di più, per i servizi professionali non vigono quelle minime garanzie che in qualche misura tutelano gli imprenditori e, tutto sommato, anche i servizi che essi offrono. Dopo il decreto Bersani chi concorre a gare per l’affidamento di prestazioni intellettuali è costretto ad offrire, subire, ribassi a volte stratosferici.
Quale garanzia di approfondimento e di qualità si può offrire con compensi che non riescono a coprire neanche le spese? Quali investimenti si possono fare in termini di ricerca ed innovazione se non si creano le risorse da destinarvi?. Mi chiedo quale futuro potrà avere l’intelligenza e la capacità innovativa dei progettisti italiani se l’unica possibilità e quella di ridurre al minimo possibile gli studi e gli approfondimenti dei progetti che, in termini di commesse pubbliche , si riducono anche quantitativamente del 20 o 30 % all’anno.
Eppure è stata operata una riforma delle università che con corsi di laurea triennali, con lo spezzettamento di competenze per loro natura uniche, tende a moltiplicare ibride figure di professionisti che sanno pochissimo di una sola limitata parte, aumentando però a dismisura cattedre e incarichi professorali che, tra l’altro, ha comportato l’esplosione dei costi pubblici per sostenere la spesa corrente delle Università.
Credo proprio occorra una sostanziale inversione di tendenza : proprio a 180 gradi, ed è responsabilità della Politica ed anche dei progettisti attuarla.