E la Cina inventò la città programmata

Le Olimpiadi da poco concluse hanno confermato al mondo, se mai ve ne fosse stato bisogno, quale è e
quale sarà l’influenza della Cina nello scacchiere politico ed economico mondiale.
Cina che conosce, è noto, uno sviluppo senza precedenti cui il regime comunista ancora al potere cerca di dare una risposta che è possibile, nei termini di rapidità ed efficienza che conosciamo, solo per il fatto che appunto di regime, se non di dittatura, si tratta.
Deve affrontare, questo grande paese, un rapido processo di inurbamento reso indispensabile dalla necessità di manod’opera per le grandi industrie che ogni giorno nascono e crescono, e che si autogenera perchè la concentrazione di molte persone nello stesso luogo ha come effetto quello di migliorare mediamente le condizioni e la qualità della vita rispetto a quella della campagna.
Devono quindi nascere, e stanno nascendo, in Cina nuove città , cento città ideali che in realtà sono circa duemila localizzazioni, come apprendiamo da un interessante servizio di questo quotidiano sull’architetto Pier Paolo Maggiora. Che appunto è stato incaricato dal governo cinese di studiare queste nuove realtà.
Potrebbe stupire che sia stato incaricato un architetto italiano, visto che il panorama mondiale vede il predominio del mondo anglosassone, potrebbe, ma non stupisce se pensiamo che la città, come modello fisico ed aggregativo è nata praticamente in Italia, e di questa cultura millenaria è comunque intriso il nostro DNA.
Non a caso quindi Pier Paolo Maggiora ha proposto la realizzazione, in circa quindici anni, di molte città di medie dimensioni, messe in rete, invece di poche nuove megalopoli dai numeri stratosferici.
Lo ha proposto perchè consapevole che una città è tale se è partecipe di un territorio di cui fanno parte altre realtà urbanizzate ciascuna con le proprie caratteristiche e specificità.
Città quindi come nodi di una rete vasta capace di produrre, attraverso le mutue relazioni, ricchezza.
Certo, resta il problema del tempo storico della formazione di queste città, e quello della loro forma urbana, oltre all’aspetto dell’ecologismo che si vuole, ed è giusto, garantito.
E tuttavia, proprio perchè si tratta di città pianificate, e secondo la logica della rete, diversamente dalla città-piramide prevista a Dubai di cui ci siamo recentemente occupati, anche nel brevissimo tempo previsto per la loro realizzazione sarà possibile attivare il necessario monitoraggio delle scelte sul campo ed adottare eventuali correttivi ed adattamenti. Strumenti questi che possono concorrere al raggiungimento di quella stratificazione di edifici e di conoscenza, dell’uso del suolo e delle relazioni tra le persone che è la quintessenza dell’essere città- entità riconosciuta e riconoscibile.
In queste condizioni possono essere metabolizzati anche gli edifici-fenomeno (come edificio fenomeno fu la Tour Eiffel a suo tempo per Parigi) come oggi possiamo considerare, rimanendo in Cina ed nell’ambito olimpico, il nuovo stadio di Pechino, conosciuto come il “nido d’uccello” per il suo inestricabile intreccio di travi in acciaio come i rametti di un nido appunto, o la piscina olimpionica, scatola pseudo-solida in teflon e acqua dai colori cangianti.
Il che apre il tema delle nuove forme degli edifici e della loro rappresentazione che, sia nei modelli virtuali che nelle proposte concrete, tendono alla rottura ed alla negazione dell’involucro e del suo essere massa.

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