Il tema dell’energia, del suo approvvigionamento e della sua disponibilità, è destinato a continuare ad essere protagonista delle cronache, credo, ancora per molto tempo. Il costo del petrolio sembra non avere limiti nella sua ascesa, pesando sempre di più sulle economie mondiali, specie su quelle che da esso dipendono in maniera pressochè totale. E’ il caso dell’Italia, nella quale, è proprio vero, la pianificazione energetica è argomento per lo più affidato all’estro ed all’inventiva delle singole regioni e non ad una cabina di regia nazionale che dovrebbe poi essere in relazione con strategie di sistema di livello almeno europeo. Piani energetici regionali che, quando esistono, sono tra loro scoordinati grazie anche ad una azione politica che, per troppo tempo, è stata di fatto rinunciataria e contraddittoria. Un esempio non piccolo di queste non scelte, non parlando nemmeno di nucleare, è quello di aver deciso la trasformazione di settantadue centrali a metano (si chiama ecologizzazione) senza nel contempo programmare e costruire gli impianti di rigassificazione occorrenti; cosicchè acquistiamo il gas presso i paesi produttori, lo stocchiamo in paesi terzi, lo ritrasportiamo in Italia quando serve, con una consistente moltiplicazione dei costi, per cui la bolletta energetica del Paese è tale da incidere pesantemente sulla sua competitività.
Bisogna altrettanto però considerare che il tema energetico non ha soluzioni miracolistiche ed univoche. Se vi sarà un piano energetico nazionale degno di questo nome, esso probabilmente dovrà agire su più fronti rispetto alla riduzione del fabbisogno ed alla individuazione delle possibili fonti tra le quali , una congrua parte dovranno avere quelle rinnovabili.
Tra queste possiamo annoverare il gasolio bioecologio , prodotto cioè da sostanze vegetali.
Una interessante relazione del prof. Rosario Lanzafame dell’Università di Catania, ha descritto la possibilità di produzione da piante non facenti parte del circuito alimentare, che è possibile produrre in grandi quantità in Sicilia. Questa gode di una irradiazione solare più che doppia rispetto ai paesi del Nord Europa e dispone di enormi superfici incolte che, ragionevolmente, potrebbero essere riconvertite a queste coltivazioni, innescando così, oltre che la produzione di biocarburante, anche un controllo di suoli altrimenti abbandonati e un sistema economico-produttivo aggiuntivo rispetto a quello alimentare. Senza contare che già adesso la Sicilia produce un surplus energetico di circa il 40% rispetto al suo fabbisogno, del quale surplus paga tutti i prezzi ambientali senza averne alcun ritorno, alla faccia dello Statuto Autonomistico.
Il peso del consumo di risorse non riproducibili poi ha una sua misura che si chiama impronta ecologica; ebbene quella della Sicilia è pari a quella della sua popolazione quadruplicata, il che vale a dire che consumiamo territorio-risorsa di paesi a basso sviluppo per tre volte la nostra superficie.
Ciò oltre che ingiusto è, come si è visto, anche antieconomico. C’è quindi da sperare che l’ipotesi di maggiore governabilità assicurata dal responso elettorale, porti a decisioni più coraggiose e di prospettiva , che consentano di lavorare su una intera gamma di opzioni energetiche coordinate, tali da ridurre progressivamente e velocemente la dipendenza energetica dal petrolio e dai suoi avidi, troppo avidi, produttori e speculatori.