I centri storici nelle città europee oggi e il nuovo piacere di tornarci a vivere

Si ha una città quando una serie di costruzioni si aggregano e si relazionano attorno ad uno spazio collettivo. Il modo di evolversi di quest’aggregazione e lo stratificarsi di queste evoluzioni crea la memoria collettiva dello spazio e dei luoghi, che costituisce il racconto della crescita di una società, della sua storia, che poi è la storia della città, la quale parla attraverso il suo vissuto; questo vissuto, la città, rappresenta ancora oggi il modo più avanzato di vita organizzata , di relazione sociale che la rende il luogo migliore dove intessere relazioni e quindi esorcizzare lo spettro della solitudine .
La città europea, quella meridionale in modo particolare, è caratterizzata da queste stratificazioni della storia e si differenzia dalle altre per il persistere dei suoi segni caratteristici che permangono anche oltre la vera e propria fisicità e sono capaci di condizionare anche i nuovi interventi.
Rispetto ad altre parti del mondo, dove spesso un nuovo intervento prefigura l’azzeramento della situazione precedente o crea dal nulla una nuova situazione, riesce a riproporsi e a rigenerarsi non rinnegando la propria storia e la propria cultura.
Ciò malgrado la rivoluzione elettronica, capace di dilatare all’infinito i consueti limiti dello spazio e del tempo.
Forse è per questo che nella città europea, a meno di qualche singolo caso, la nuova edificazione assume spesso una certa marginalità che però non deve essere pretesto per una riduzione di qualità, la cui ricerca, invece, è uno dei principali presidi di resistenza verso l’appiattimento culturale che proprio i processi della globalizzazione e delle enormi possibilità di veicolazione delle informazioni possono indurre.
In fondo i segni del nostro tempo, della modernità che innestiamo nelle città consolidate, non riescono a scalfirne più di tanto e quasi mai in modo irreversibile, il carattere urbano .
Questo fa sì che i centri storici sono dei luoghi dove è piacevole soggiornare e lavorare, anche a dispetto degli inevitabili problemi dovuti alla congestione, al traffico, al rumore.
Perchè le attività che lì svolgiamo, le svolgiamo immersi in uno spazio già modellato e strutturato dalla storia, che è storia di pietre ma anche di uomini. Anche se esso si è formato senza un disegno rigidamente pianificato, ma per successione e sedimentazione di eventi modellati da altre culture.
Non è difficile immaginare che è più piacevole vivere a Palermo che in una delle città cinesi sorte dal nulla in questi ultimi anni, anche se queste possono rappresentare il paradigma della corretta pianificazione urbanistica; per la stessa ragione che, indipendentemente da ragioni economiche, si valuta più piacevole abitare nel centro storico di Catania piuttosto che a Librino pure progettato da uno dei più grandi architetti del Novecento.
E’ forse anche questo il motivo per cui interventi di forte innovazione all’interno di tessuti consolidati, al di là del loro intrinseco valore, trovano forti resistenze: la paura inconscia del disequilibrio indotto dall’elemento dirompente. Non stupisce quindi che anche il più grande architetto vivente, il Brunelleschi dei nostri giorni, Renzo Piano, sia stato di recente contestato dai torinesi per il suo progetto di un grattacielo innestato nel tessuto urbano; progetto peraltro pregevole in sè ma troppo nuovo ( ed è il suo valore principale) per essere facilmente accettato dalla sonnolenta società italiana.

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