Il vizio antico della politica italiana di cercare sempre la complicazione

L’Italia è tra i paesi del mondo più ricchi di storia, cultura, delle loro testimonianze fisiche; anzi, l’Italia è testimonianza essa stessa della storia.
Un simile patrimonio costituisce, per l’Architettura, un imprescindibile termine di paragone e confronto con cui quasi sempre qualunque architetto deve ,volente o nolente, misurarsi.
Una opportunità o una sorta di maledizione quella di dover vivere o lavorare in un contesto permeato dai fantasmi di Brunelleschi, Alberti,, Bernini, Borromini, Palladio.
Opportunità o maledizione che da noi rende più difficile il mestiere dell’architetto, rispetto ad altri contesti, peri il fatto di dover lavorare , quasi sempre, in un museo a cielo aperto:
E’ forse questo il motivo per cui i (pochi) grandi architetti italiani operano più all’estero e le grandi firme internazionali incorrono in diatribe, infortuni professionali, lungaggini.
Molti anni fà Le Corbusier ebbe non poche amarezze con il progetto dell’Ospedale di Venezia. E’ successo più recentemente ad Oscar Niemeyer, il costruttore di Brasilia, che non riesce a realizzare il suo spettacolare auditorium sulla costa campana. Si aggiungono, tra tanti altri, i casi di Arata Isozaki con il suo ingresso agli Uffizi di Firenze e di Richard Meyer che più di un attacco e contumelia ha dovuto subire per la sua, a mio parere bellissima, realizzazione dell’Ara Pacis a Roma.
E se in Italia è difficile progettare architettura contemporanea per queste grandi firme straniere, inevitabilmente meno emotivamente coinvolte rispetto alla nostra storia, lo è di più, a maggior ragione, per gli architetti italiani.
In Italia si scontano peraltro quasi cinquant’anni di mancanza di una generale e diffusa ricerca sul contemporaneo, un ciclico e comodo rifugiarsi sui temi della tradizione, una perniciosa ingerenza politica sulle realizzazioni architettoniche.
La politica italiana, e non solo nel campo dell’architettura, ha il vezzo di cercare la complicazione piuttosto che la semplificazione, ammantandola con una pretesa garanzia di legalità.
Ciò ha generato, e continua a generare, un complicato sistema di leggi e regolamenti, applicabili ai nemici, interpretabili per gli amici, che di fatto contribuisce ad allungare a dismisura i tempi di realizzazione delle opere, spesso già vecchie quando alla fine vengono realizzate.
Non è raro il caso che alcune opere vengano ultimate dopo decenni dalla loro programmazione e a volte non entrano nemmeno in funzione poiché superate dal tempo e dalle mutate necessità.
Abbiamo oggi in Italia un sistema normativo che tutela, giustamente, alcune opere per le quali oggi si finirebbe facilmente in galera solo a pensarle.
L’Italia è uno dei pochi paesi al mondo dove certe opere vengono inaugurate più di una volta, a gloria del politico in quel momento sul ponte di comando, o dove opere rilevanti già appaltate, non vengono più realizzate per veti strumentali o interessate sollevazioni popolari forse non proprio trasparenti.
Da alcune legislature si cerca di riformare la legislazione urbanistica nazionale operando per sintesi e semplificazione senza riuscirvi, come da anni si cerca di rendere più moderno e trasparente il mondo del lavoro professionale salvo a volerlo fare con iniziative populistiche o, peggio, punitive di chissà quali colpe.
E poi ci meravigliamo del grande problema dell’abusivismo, della speculazione edilizia e del fatto che il nostro paese, una volta paradigma della cultura urbanistica ed architettonica, è ridotto ormai al ruolo di cenerentola.

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