La morte è parte del ciclo vitale degli esseri viventi come il respirare, il nutrirsi; è essa stessa in qualche misura rinascita e rinnovamento anche ed oltre le convinzioni religiose di ciascuno. La morte, come tutte le cose connesse all’uomo, ha anche degli aspetti pratici cui siamo chiamati, l’architettura è chiamata, a dare risposte e, tra queste, la realizzazione di quei luoghi ove deporre ed onorare i nostri defunti.
E’ per questo che, dalle necropoli antiche alle città dei morti egizie, dalle prime catacombe cristiane fino ai moderni cimiteri, quasi tutte le civiltà e religioni hanno avuto attenzione per gli aspetti simbolici legati al trapasso ed alla conservazione della memoria di chi ci ha preceduto. Attenzione che si è espressa attraverso la sedimentazione di vari tipi di architetture tombali e caratteristiche sepolcrali, che hanno determinato varie tipologie cimiteriali.
La stessa parola “cimitero” deriva dal greco “koimetérion” e cioè luogo di riposo; luogo cioè dove i defunti simbolicamente possano trovare il loro riposo eterno, ma soprattutto possano trovare un momento di serenità , di “riposo” appunto, coloro che i defunti lì vengono ad onorare e ricordare.
I moderni cimiteri si devono a Napoleone con il suo editto di Saint-Cloud del 1804, il quale fissò i cardini localizzativi ed igienici per i luoghi di sepoltura; sulla base di quell’editto e delle successive norme emanate dal Regno delle Due Sicilie, nel 1819 la città di Catania decise di dotarsi di un proprio cimitero. Come sempre, la nascita del cimitero catanese ebbe storia alquanto travagliata e solo verso il 1880 si arrivò alla soluzione, dovuta all’ingegnere Filadelfo Fichera, che oggi ne costituisce la parte “monumentale”. In esso, impostato secondo la sistemazione a giardino, nacquero numerose cappelle gentilizie, immerse in una rigogliosa vegetazione, molte delle quali vennero edificate su progetti dei più importanti architetti del tempo. Una teoria di micro-architetture, immagine e specchio non della città reale ma di quella sognata da genti meridionali , desiderose di trasformare “l’ultima dimora” nel simbolo del proprio affrancarsi dall’indigenza e dal sottosviluppo, così come la Catania di quel tempo, quella dei Sada, dei Fichera nel campo architettonico, si apriva al benessere dei nuovi commerci e delle nuove industrie.
Si percepisce, percorrendo i viali del cimitero catanese, l’equivalenza dei due desideri, rappresentativo e celebrativo, si percepisce nella cura dei dettagli, del disegno, del rapporto con la vegetazione. Tutto questo, come è accaduto parallelamente nella città reale, fino a prima della Seconda Guerra Mondiale.
Perché dopo approssimazione, sciatteria, cattivo gusto, come nella città reale, hanno preso prepotentemente il sopravvento. Basta aggirarsi per il cosiddetto Viale delle Confraternite per rendersene conto. Palazzoni che a prima vista potrebbero benissimo ospitare uffici e case di infimo ordine accolgono centinaia e centinaia di loculi, a volte senza troppa cura neanche per i minimi requisiti funzionali. Improbabili infissi in alluminio bronzato accoppiati a vetri fumè si abbinano a forme incerte tra modernismo e stili classicheggianti. Tombe di famiglia si ripetono sciattamente più o meno uguali a meno di piccoli dettagli secondo progetti fotocopia. Tristezza infinita più grande forse di quella legata al lutto.
Ecco la parte contemporanea del cimitero di Catania è il paradigma della morte dell’architettura dalla quale, con fatica, cerchiamo di affrancarci credendo, da buoni cristiani, nella resurrezione.