Concorsi, architetture, stranezze. La cornice barocca del cortile dell’Istituto d’Arte è stata la splendida scenografia di un evento che Giovedì 12 Luglio ha visto Catania ospitare la presentazione dei premi d’architettura IN/Arch-Ance. Evento piuttosto rilevante data la presenza , per l’occasione, del Presidente Adolfo Guzzini , accompagnato dallo stato maggiore provinciale di Ance e Confindustria. Occasione, anche mondana, che si presta ad alcune riflessioni.
La prima è che l’Architettura, come andiamo sostenendo già da qualche tempo, anche dalle nostre parti comincia ad uscire dai riservati cenacoli intellettuali per aprirsi alla società ed agli interessi generali; come fatto di costume e come cartina di tornasole sui nuovi modelli di vita. La seconda è che le occasioni per fare Architettura non sono più (in realtà non lo sono mai state) riservate a pochi edifici simbolo, ma tornano ad interessarsi dell’edilizia abitativa, anche quella minuta e popolare, dato testimoniato da due dei progetti premiati e presentati dai giovani autori.
L’esposizione di questi progetti ha stimolato il dibattito, anche vivace, sulle differenti condizioni esistenti tra la nostra realtà e quella della parte più economicamente sviluppata del Paese, tema che forse ha ridotto l’analisi critica su questi progetti e su questi giovani progettisti che ci piace qui riprendere.
Riprendendolo proprio dalla forma architettonica dei progetti, premiati perché portatori, secondo la Giuria, di elementi di innovazione e ricerca nel campo della cultura dell’abitare.
Forma architettonica che in ambedue i casi, una media casa unifamiliare ed un piccolo complesso residenziale di case popolari a basso costo, prevedeva, tra l’altro, il rifiuto dell’angolo retto e delle pareti a squadra. Che questa scelta sia “diversa” rispetto alla normale edilizia abitativa non vi è dubbio. Che sia innovativa e migliorativa delle condizioni dell’abitare è, secondo chi scrive, meno certo.
Intanto perché la negazione dell’angolo retto non è certo una novità. Tutta una cultura architettonica internazionale, da Ghery a Hadid, caposcuola del decostruttivismo, da anni persegue questa strada, Questa tendenza si fonda sulla de-costruzione dello spazio e la complicazione delle sue relazioni, assumendo la sua fluidità come valore assoluto e quindi mettendo in secondo piano, per certi versi, la sua percezione sul lungo periodo temporale di permanenza, e quindi la sua gradevolezza ed accoglienza, a favore dell’effetto meravigliante del suo dinamismo. Ragionamento che ci porta al concetto di miglioramento delle condizioni di vita. La giuria, in questo come in molti altri casi analoghi, forse non ha tenuto conto del livello di gradimento degli utenti di queste case nel lungo periodo, specie nel caso degli alloggi popolari che, alla deformazione della pianta, abbinavano la soluzione dell’eliminazione delle aperture verso lo spazio pubblico per concentrarle verso un piccolo patio interno, circondato da alte mura e privo di qualsiasi possibilità di relazione con il mondo esterno. A me è sembrato il cortile di una prigione volontaria, una sorta di auto esclusione dal mondo voluta o, piuttosto, subita.
Siffatte considerazioni sono spesso possibili per molti progetti selezionati in concorsi. Forse per alcuni ambienti il valore di un’architettura si misura nel suo essere strana o “fenomenale” come può esserlo la donna barbuta dei circhi d’una volta. Che ciò sia un valore ho qualche dubbio.