Una disciplina per poche archistar? No, non è una esclusività elitaria

Da queste pagine da qualche tempo ci occupiamo sistematicamente di fatti che riguardano l’ambiente, la città, le sue architetture.
Abbiamo ragionato su così tanti argomenti che forse è utile fermarsi a riflettere sulle condizioni in cui si fà Architettura in Italia.
Questa analisi ci porta, da inguaribili ottimisti, a qualche valutazione positiva e pur realistica.
Processi di trasformazione urbana, dotati un sufficiente livello di attenzione al tema della qualità, sono partiti in alcune città. Importanti opere di architettura si stanno costruendo a Roma , Milano, Torino, Napoli ed in parallelo si comincia a registrare un maggior numero di Concorsi di progettazione.
Allo stesso tempo, come logica conseguenza, anche i mass media si interessano strutturalmente ai problemi dell’Architettura; questa rubrica ne è solo un piccolissimo esempio.
Un certo interesse ed un certo fermento positivo sono chiaramente palpabili. Tuttavia dobbiamo essere consapevoli che vi è tanta strada ancora da fare per superare il gap che siamo riusciti ad accumulare non solo rispetto agli altri Paesi europei, ma anche rispetto a tanti Paesi emergenti.
Ancora l’Architettura viene percepita dai più come fatto elitario, riservato a pochi ed opera di poche archistar, guru della forma e della funzione da esporre e vantare quasi come status-symbol.
Non si è ancora raggiunto il livello della “qualità diffusa” alla maggior parte delle realizzazioni residenziali ed infrastrutturali.
Ne ciò si potrà raggiungere senza forti investimenti sulla qualità del sistema procedurale e normativo. Sistema che coinvolge molti passaggi di una stessa filiera, ognuno dei quali concorre al processo realizzativo di un’opera di Architettura.
Anche perché non vi è sufficiente chiarezza sugli attori del processo edilizio, anzi, le più recenti decisioni legislative sembrano tendere ad una complicazione delle procedure e ad una confusione degli attori, specialmente i soggetti professionali.
Pretese istanze liberalizzative cercano di aumentare la platea dei soggetti abilitati alla produzione di architettura, senza preoccuparsi del fatto che questi soggetti abbiano o non abbiano le conoscenze e la formazione minima necessaria per essere attori di questo processo. Contrariamente a quanto avviene in gran parte del mondo, dove l’Architetto è il soggetto principale, riconosciuto e riconoscibile, del processo edilizio, in Italia Agronomi, Geometri, Ingeneri elettrici, Periti edili, possono, a vario titolo, progettare edifici.
Con questo generando una pericolosa asimmetria informativa nei confronti del cittadino utente, il quale spesso non ha gli strumenti di conoscenza utili a valutare la competenza del suo interlocutore tecnico.
Senza dimenticare che, nel tempo e nel mondo in cui viviamo, la rapidità delle decisioni e delle procedure sono direttamente funzionali al requisito della competitività.
Valore negato dai tempi a volte indefinibili della burocrazia e dalle infinite interpretazioni possibili di norme spesso cervellotiche e pletoriche.
E ciò vale sia per le realizzazioni private che per quelle pubbliche, queste sottoposte alla spada di Damocle dell’appalto integrato, un elegante sistema per liberare le Amministrazioni dall’onere e dalla responsabilità del progetto, che, per altri versi, la Legge Merloni aveva imposto , anche qui sbagliando per eccesso, quasi esclusivamente alle loro strutture interne, sottraendole così alla loro principale responsabilità istituzionale, quella della programmazione e del controllo.

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