Il problema dei Piani regolatori portuali Criteri urbanistici e interventi ragionati

Il sistema portuale costituisce uno dei cardini urbanistici del modello di sviluppo delle città di mare.
Non fa eccezione Catania, tant’è che proprio sul recupero del negato rapporto tra il suo abitato ed il mare si giocano alcune delle scelte di fondo del nuovo strumento urbanistico della città.
Proprio per questo qualunque piano organizzativo del sistema portuale non può che far riferimento ed incardinarsi nella più generale progettazione urbanistica.
Che certamente deve tenere conto del margine storico e del profilo della città consolidata accostandovisi con misura e discrezione.
Per questo motivo, già alcuni anni fà, dalle pagine di questo giornale, chi scrive ed anche altri, espressero più di una riserva in merito alla costruzione di due palazzacci ministeriali che brutalmente si sovrapposero alle possenti mura della Cattedrale e del vicino palazzo Biscari; per lo stesso motivo , più recentemente, si è immaginato un diverso destino per il viadotto ferroviario , in nuce una spettacolare passeggiata tra il mare e le mura storiche da cui godere di un sky-line di incomparabile suggestione.
Tutto questo, sembrerebbe naturale, dovrebbe essere contemperato in un qualsiasi Piano del porto, sia pure attento alle nuove necessità funzionali.
Ora , da quanto si apprende, più di un dubbio è lecito manifestare se corrisponde al vero che il nuovo Piano Regolatore del Porto, prevede la realizzazione di consistenti cubature, edifici di notevole (spropositata?) altezza sia pure accompagnati da un restringimento dell’area doganale con liberazione di aree per la città.
Per prima cosa la riduzione dell’area doganale significa che comunque essa verrà mantenuta, Si manterrà cioè la separazione fisica tra il tessuto urbano ed il piano dell’acqua, Già questo può essere considerato un limite funzionale ed urbanistico poiché questa separazione fisica è anche una separazione tra la popolazione ed una consistente parte della sua costa, proprio in corrispondenza della parte di città più debole urbanisticamente ed socialmente, parte che potrebbe avere i maggiori benefici in termini di processo di riqualificazione generato dall’aumentata appetibilità delle aree in rapporto alla vicinanza al mare.
Poi perché non eliminare la barriera doganale non consente immaginare la rifunzionalizzazione e la conseguente integrazione nel sistema portuale di una discreta parte del tessuto esistente in disuso con la conseguente necessità di costruire nuovi edifici per le aumentate necessità logistiche del sistema portuale.
Infine perché prevedere all’interno dell’area portuale edifici alti venti metri ed un diluvio di cemento significa ridurre la mobilità interna dell’area e probabilmente creare nuovi e più gravi guasti all’equilibrio paesaggistico del fronte mare settecentesco della città.
Il che non significa inibire la realizzazione di nuove architetture e nuove funzioni all’interno del porto; forse però alcune di queste funzioni e necessità possono essere previste coinvolgendo il tessuto edificato a margine aumentando l’interscambio tra la città e l’infrastruttura riducendo le alterazioni indotte.
Certo è un processo meno semplice, forse più problematico in termini di realizzabilità, perché è più complesso occuparsi del porto in stretta relazione ai complessi dati dell’urbanistica cittadina.
Ma dove sta scritto che le soluzioni più semplici sono sempre anche le migliori?

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