Da Bilbao a Valencia, così gli architetti riconquistano il loro spazio creativo

Sarà capitato a molti, in questi ultimi tempi, di vedere degli spot pubblicitari, magari di un’azienda telefonica, che hanno come protagonista le contorsioni volumetriche del Museo Guggenheim di Bilbao, oppure l’ultima astronave disegnata da Santiago Calatrava, e cioè il Palazzo delle arti di Valencia, che pubblicizza una marca di prodotti per l’edilizia.
Ancora, presto, potremo vedere in un cinema un vero e proprio film sulle opere architettoniche di Frank Owen Gehry.
L’ architettura stà sempre di più riconquistando il ruolo che storicamente e culturalmente le è sempre stato proprio, e cioè di essere testimonianza del proprio tempo e del proprio spazio e, tanto quanto più forte è la propria forza espressiva, trasformarla in forza comunicativa da trasferire in valore positivo da associare ad un prodotto, ad un brand, per contribuirne al successo ed alla diffusione.
E’ quanto avviene in questi giorni sulle pagine dei maggiori magazine italiani sulle quali Renzo Piano, uno dei cento uomini più influenti del pianeta secondo la rivista Time, a suo modo, da architetto, pubblicizza, fà da testimonial alla campagna della Firc-Airc, la Fondazione promossa da Umberto Veronesi per favorire la ricerca sulla cura dei tumori.
Lo fà mettendoci la faccia, letteralmente, sui manifesti, lo fà rendendo evidente, da par suo, come in fondo l’architettura e la ricerca medica siano figlie dello stesso desiderio ed aspirazione di rendere la vita dell’uomo migliore, più serena, più sicura.
Richiedono, architettura e ricerca medico-scientifica, la stessa fermezza, la stessa capacità di intuizione, la stessa voglia di guardare oltre, con testardaggine e pazienza, fino a quando, dal buio del dubbio e dell’incertezza, non appare la luce della possibile soluzione.
In fondo scienziati ed architetti sono, devono essere, soggetti intrisi allo stesso modo di passionalità e razionalità, rassegnati alla perenne ansia e perenne attesa che a volte viene premiata, a volte no, ma non per questo si lasciano abbattere od esaltare, con l’attenzione sempre rivolta non alla sfida conclusa ma a quella da iniziare. E tanto è più convinta questa impostazione del proprio lavoro e del proprio ruolo tanto più semplice e non paludato è il modo di svolgerlo e di presentarsi.
Questo uso pubblicitario dell’architettura potrà forse far arricciare il naso a qualche purista, tuttavia
penso lo si possa interpretare con segno largamente positivo.
Perché, almeno in Italia, l’architettura esce finalmente dal limbo, falso piedistallo, della cultura accademico-universitaria, per ritornare patrimonio comunque condiviso, perché le opere e i personaggi di questo mondo che vengono trasmessi sulle Tv o pubblicati sui giornali, rendono comune, nel senso più positivo del termine, il concetto stesso di architettura, per troppo tempo confuso con quello di edilizia; questo non potrà che fare del bene all’architettura stessa e con essa parallelamente alla qualità delle nostre città. E’ una sorta di pubblicità-progresso come la campagna antifumo o quella sull’uso delle cinture di sicurezza che, attraverso il martellamento pubblicitario, hanno reso comuni e condivisi concetti di prevenzione e protezione che hanno dato i loro frutti, che nel caso dell’architettura, potranno essere quello di instaurare un “bisogno” di architettura, al quale politici, architetti, costruttori, non potranno che dare, confidiamo, adeguate risposte.

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