Inutile costruire nuovi ospedali se poi lasciamo che si deteriorino

Avevo poco più di dieci anni, quando durante una partita di calcio mi procurai una frattura del polso. Corsa in ospedale, uno di quelli che qualche tempo dopo furono descritti da un’inchiesta di questo giornale come i lazzaretti di Sicilia, e classica trafila, radiografia, intervento dell’ortopedico, sala gessi e poi a casa; due o tre ore in tutto.
Ho rivissuto la stessa avventura, per interposta persona, qualche giorno fà. Ingresso in ospedale alle diciassette circa, triage, radiografia, visita e primo soccorso in un paio d’ore, era una giornata tranquilla, senza particolari emergenze. La professionalità del medico però ha consigliato una visita specialistica ortopedica per una immediata riduzione della frattura.
Qui è iniziata una specie di avventura kafkiana che solo l’umanità e la professionalità del personale medico e paramedico ha contribuito a rendere più sopportabile.
Attesa dello specialista, di cui a quell’ora è prevista la semplice reperibilità, in astanteria, a volte seduti a volte in piedi fino alle dieci di sera; poi il trasferimento in reparto per i controlli e le analisi di rito, con stanze vecchie, di approssimativa pulizia, controsoffitti rabberciati, pavimenti e pareti di un grigiore sconsolante, accentuato dalla livida luce dei neon come forse neanche nelle carceri vi son più. Per non parlare degli arredi oramai ridotti a poco più che rottami , addirittura con i pochi letti liberi privi di cuscini.
Poi la riduzione della frattura, a mezzanotte, e di nuovo in sala raggi per il controllo. Solo che per arrivarci si è riattraversato gran parte dell’immobile percorrendo corridoi male illuminati, in alcune parti privi di porte o con queste scardinate, con il volenteroso medico che ci raccontava che, a volte, quando deve fare questo percorso da solo di notte, si porta dietro un bisturi come precaria arma di difesa, più psicologica che reale, in quanto non è difficile fare brutti incontri. Diffuso degrado degli ambienti, anche quelli destinati ad ospitare le più sofisticate tecnologie, e, finalmente, la dimissione, ore una e trenta del mattino. Era una giornata tutto sommato tranquilla.
Non è accaduto nel Burkina Faso, ricredetevi, è accaduto, accade, in una grande città del Sud in un presidio ospedaliero abilitato per le emergenze di terzo livello.
Un’esperienza che dimostra con quanta abnegazione medici e paramedici a volte devono supplire ad inefficienze ed incuria, ancor più eroica per il fatto di dover lavorare in ambienti resi inadatti dall’assenza di manutenzione e dalla minima cura per il rispetto delle persone, forse considerate semplici numeri per statistiche.
Dimostra ancora come sia inutile investire ingenti risorse per costruire nuovi ospedali se dal giorno dopo li si abbandona al deterioramento e, peggio ancora, alla svogliatezza di chi dovrebbe assicurarne la funzionalità. E’ inutile se quando li progettiamo e li costruiamo non li pensiamo con al centro le persone con le loro grandi o piccole sofferenze, non rendiamo più gradevole e semplice il lavoro di medici ed infermieri, se non li pensiamo con i giusti materiali per durare nel tempo, se non li rendiamo di per sé luoghi capaci di curare e non di deprimere.
Illuminanti alcuni versi di una poesia di Enzo Aprea:
“Vorrei una corsia di letti rossi, gialli… e dottori sorridenti per far festa alla morte senza paura. E muri disegnati dai pittori più grandi per cancellare il bianco della morte…”

SEDE OPERATIVA
Via Indaco, 23 (Spazio SAL)
95129 Catania - Italy

SEDE LEGALE
Via S. Gaspare Bertoni, 5
95030 Tremestieri Etneo (CT) - Italy

T +39 095 5183405
M +39 335 5266293

© 2012 Scannella Architects - P.IVA: 04042850877 | C.F.: SCN GPP 53M21 C351 E