Il multiculturalismo di Berlino, base di una identità architettonica

Mi chiedevo, la scorsa settimana, se ci fosse un giudice a Berlino per le nostre città. Beh, a Berlino e per Berlino un giudice vi è stato, a giudicare da quanto in poco più di un decennio è stato fatto in questa grande capitale mittleeuropea.
L’occasione del rinnovo urbano conseguente alla riunificazione delle due Germanie, ha reso Berlino un punto centrale delle attività di progettazione urbanistica ed architettonica, che ha avuto per protagonisti progettisti ed operatori immobiliari di tutto il mondo.
Tra questi non sono mancati, con le loro opere, i mostri sacri dell’architettura mondiale, i quali, anche all’interno delle regole (peraltro sensate e logiche) delle normative locali, hanno prodotto interventi simbolo-seme per una diffusa qualità dell’ambiente urbano.
Edifici ed ambientazioni come Postdamer Platz con i centri Daimler-Benz, Sony e la torre vetrata delle Ferrovie tedesche, il quartiere della Politica con la cupola di Norman Foster per il Reichstag, ed il complesso della Cancelleria, come il quartiere delle ambasciate, sono stati capaci di ricostruire una identità urbana basata sul rispetto delle condizioni etiche e, perchennò, religiose della società tedesca, in cui il multiculturalismo è stato sempre vissuto con serenità, a parte la triste parentesi della dittatura hitleriana. A Berlino si parlano circa centoquaranta lingue e le comunità straniere vivono in armonia con i cittadini locali.
La tolleranza, la capacità di confronto della società berlinese, hanno reso possibili anche interessanti riqualificazioni del tessuto edificato storico della città. Sono diffusissimi gli interventi in cui su fabbriche dell’ottocento e dei primi del novecento si innestano arditi interventi contemporanei, con la dimostrazione pratica che l’architettura, quando è tale, può dialogare da pari a pari e senza timori reverenziali anche con il proprio passato, riuscendo così anche a valorizzarlo.
Vi era inoltre il problema della rivitalizzazione dell’area est della Città in cui, tolti gli edifici storici sopravvissuti alla guerra, imperava l’architettura massimalista, francamente brutta, di stampo sovietico, caratterizzata da casermoni abitativi costruiti con grandi pannelli di cemento armato prefabbricati.
Da questo, che era un grande problema urbanistico ed anche economico, attraverso processi di
re-design si è arrivati alla definizione di una tecnica di intervento che ha coniugato la riqualificazione estetica con la risoluzione dei notevoli problemi di scarso isolamento e di deterioramento dei fabbricati; in particolare con l’uso di pennellature di acciaio colorato che, creando una seconda pelle al fabbricato, ne determina il consistente miglioramento delle capacità isolanti e la rilettura morfologica dei piani e dei volumi.
Potremmo dire: è l’architettura, baby! In questa città sembra la cosa più naturale del mondo; il criterio della trasparenza, della leggerezza, dell’articolazione spaziale e delle funzioni, l’organica contaminazione di stili e forme, l’asimmetria, li puoi in ogni angolo riscontrare con una naturalezza per noi, osservatori italiani, quasi irreale.


Senza voler scaricare ad altri le responsabilità di noi progettisti dovremmo sperare che l’esempio berlinese stimoli anche chi programma, regola e controlla l’attività costruttiva in Italia.
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